29 OTTOBRE 2018 UN OSPITE INATTESO A TERRACINA

 

29 OTTOBRE 2018. Un ospite inatteso a Terracina

 

 

29 ottobre 2018, un  uragano di intensissima forza ha investito la città di Terracina, lasciando, in pochi secondi, dietro di sé morte e distruzione. La città non aveva mai registrato una calamità naturale così violenta, al punto di lasciare   tutti gli abitanti  annichiliti e attoniti.

Molte le zone della città colpite e distrutte  dall’inimmaginabile vento, che con il tempo potranno essere ricostruite per come erano, ma  ciò che non potrà essere più  come prima è il viale della Vittoria, luogo storico di passeggiate e incontri all’ombra dei pini marittimi,  cresciuti  insieme  a molte generazioni di terracinesi. Gli alberi che rendevano unico il panorama della città non esistono più, crollati sotto l’onda sferzante del vento impetuoso. Tra l’altro,  gli alberi furono  piantati cento anni fa, in occasione della vittoria della Prima Guerra Mondiale, dai  prigionieri  che espiavano la colpa, di essere nemici,  con la pena  che oggi si chiamerebbe “lavoro socialmente utile”.  Alberi che rappresentavano la vita che rinasceva,  insieme alla necessità  di elaborare i tanti lutti che la grande  guerra aveva prodotto. Purtroppo, le guerre non finirono cento anni fa e ancora sacrifici di vite umane  si sono consumati nel tempo, senza aver mai  potuto piantare alberi della vittoria. L’albero è il simbolo della vita, la salute di un albero equivale alla salute dell’umanità e la perdita di un albero  depaupera il patrimonio dell’umanità. Oggi  la città di Terracina è più povera,  spogliata del  suo canale verde e della sua fauna,  deprivata dei raggi di sole che filtravano, con  un gioco di luci e di ombre, tra le fronde aghiformi dei pini.  Pini maestosi che erano diventati rassicuranti con la loro presenza immobile e paziente, testimoni silenziosi di eventi piacevoli e tristi che i cittadini terracinesi  hanno  vissuto in quest’ultimo secolo. Il sacrificio della città di Terracina   sicuramente lascerà traccia nell’immaginario collettivo, ma sarà anche utile che non se ne perda memoria, perché il ricordo del dolore consente di migliorare la vita, riconducendo al cuore dell’esistenza  e ai suoi valori. L’immagine degli alberi sradicati  deve evocare ancor di più le proprie radici  che affondano  nella Grande Madre Terra, contenitore dei  semi della rinascita e, quindi, della nuova vita.

Tra i pini sacrificati alla furia di Eolo ci sono anche i Due Pini della via omonima, che, come le torri gemelle,  rimarranno assenti  nella loro acuta  presenza, a testimonianza della imperscrutabilità della Natura che non consente previsioni. L’essere umano  a volte dimentica di appartenere alla Natura, le cui leggi, anche se incomprensibili e inaccettabili, si rispettano.  Chi naviga nei mari in tempesta, con i venti che giocano a rincorrersi tra le onde, è consapevole  di quanto sia importante   tenere  saldamente il timone in mano e  navigare a vista, modificando se necessario la rotta pur di arrivare in un porto sicuro,   lo stesso cui giungere psicologicamente nei momenti  difficili, per sentirsi accolti, protetti e sicuri. In questo momento storico siamo  naviganti nel  mare in tempesta, ma l’unico modo per resistere è accompagnare con flessibilità gli eventi, per comprenderli  e adeguare la rotta alla necessità del momento, affinché si possa con fiducia approdare in acque sicure.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

(terracinese)

Fotografare la Notte

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Mito Roma, supplemento di International Urbis et Artis, N.1 Gennaio Febbraio 2018

FOTOGRAFARE LA NOTTE

Cosa si può fotografare di notte, senza usare luci artificiali?  L’essenza  del Mondo!  Un mondo sfrondato del superfluo e dei bagliori offuscanti del giorno.

La notte evoca  il buio, la paura ancestrale che l’essere umano porta con sé fin dalla nascita, quando, nella separazione dal caldo e rassicurante contenitore materno, si è ritrovato solo  nel mondo ad affrontare i mostri della sua esistenza.  La paura, così, diventa un motore propulsivo per conoscere l’inconoscibile, per attraversare l’impensabile, per abbracciare l’impalpabile forma della notte.  L’ambiguo fascino della notte attrae come il canto delle sirene, provocando un desiderio irrefrenabile di conoscerla e svelarla alla propria coscienza.  Un giovane fotografo peruviano Musuk Nolte, vincitore dell’edizione 2017 della Elliot Erwitt Havana Club7 Fellowschip, ha  ritratto Cuba di notte  offrendone una lettura più vicina al sogno che alla realtà.  In un’ intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera   e pubblicata sul magazine Style (n.11 novembre 2017), Nolte spiega la scelta di intitolare la serie delle sue foto  “Ombra sull’Isola”, per  cogliere l’ombra di un’isola che in realtà è impossibile da vedere.  L’artista,  nel buio lunare, imprime sulla pellicola il naturale  corso della vita attraverso volti, sguardi,  paesaggi, con l’inevitabile filtro della notte  che nasconde dettagli, ma amplifica emozioni.

In un  famoso film “Effetto Notte”, il regista  Francois Truffaut, cercava  la  notte  cinematografica per immergervi una storia che evidenziasse la notte della coscienza dei personaggi,  all’interno di difficili relazioni. Musuk Nolte, come il regista francese, cerca la notte nella realtà,  senza effetti   speciali, ma con lo stesso intento di cogliere l’ombra della notte che contiene l’ombra della vita,  invisibile, ma dirompente e trasgressiva.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

2018, infinito verticale


2018 alle porte, un numero nuovo da memorizzare e una nuova agenda da riempire. Per quanto non se ne sia consapevoli sono tante le aspettative che si ripongono nel nuovo anno, perché c’è il desiderio di cambiare e  di trovare stimoli per averne il coraggio. Come spesso mi è capitato di scrivere, ogni giorno che passa  non ci trova più vecchi di ieri, ma più giovani di domani, cercando di cambiare prospettiva rispetto al tempo che passa,  per  non vivere la costante sensazione di essere fuori tempo. Capita di sentire espressioni come “ormai, è tardi!”, ma qual è il metro di misura per decidere il superamento del limite?  La vita porta con sé il senso del limite, ma non è l’età  cronologica che lo decreta. Perché, allora, non provare a entrare nel 2018 con la sensazione di infinito che il numero 8 evoca, come simbolo di un infinito verticale, che ancora di più consente di elevarsi verso  nuovi obiettivi cercando se stessi in dimensioni da esplorare e conoscere?

L’augurio che si può fare a se stessi, per il 2018, è proprio quello di accompagnare il tempo come alleato di una vita che per essere vissuta ha  bisogno, paradossalmente,  del tempo, perché  ne segna  il valore infinito  nonostante la  finitezza dell’essere umano.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

25 NOVEMBRE 2017

 

Introduzione al progetto:

UN’ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÒRA:

cambiare accento per cambiare prospettiva

 

 

Quale differenza può fare un accento?

I media  riportano per l’ennesima volta la  notizia di un efferato delitto perpetrato nei confronti di una donna da parte del proprio uomo o del branco selvaggio, e l’espressione più istintiva che dirompe dalle corde vocali è : ancòra!

Se provassimo a cambiare l’accento e si cercasse un’àncora per fermare l’irrefrenabile scia di morte che l’umanità sta lasciando dietro di sè?

L’àncora  per le morti delle donne ancora non esiste,  perché non è chiaro su quale sponda debba  approdare la nave della consapevolezza del valore della vita umana. La mano del carnefice non ha età, come non ha età la vittima.

Le domande che si rincorrono nella mente per capire il senso di tanta crudeltà,  rimbalzano sul muro dell’incredulità.

Il disorientamento che si prova di fronte all’imprevedibiltà della mente umana fa vacillare ogni punto di riferimento, che si riteneva stabile nel concepire il confine tra il bene e il male.  La labilità del confine  pone l’essere umano nella zona buia della sua coscienza, dove tutto si confonde e tutto svanisce: certezza, sicurezza, chiarezza, stabilità etc. È a questo punto che si cerca un approdo per potersi fermare e gettare, così, l’àncora, per osservare, capire e cambiare qualcosa, affinché  si possa ripartire in sicurezza nella vita di tutti i giorni, senza insidie e paure.

 

L’àncora per le  vittime,  che cadono ogni giorno sul campo di battaglia per la libertà,  richiede il lavoro di tutti, per ritrovare il valore e il senso della vita  da dove ripartire, oggi più che mai, tendendo una mano alla solitudine, al dolore, alla sofferenza, al silenzio di chi non ha più voce se non per dire: ancòra!

Il verricello che accompagna l’àncora a cercare un appiglio, va attivato subito, affinché   si fermi la navigazione dell’ umanità, inconsapevole delle regole della convivenza e della condivisione. L’epoca in cui viviamo, è caratterizzata dal tutto e subito, quando, per esempio, non si sa aspettare per differire il soddisfacimento di un bisogno, la cui frustrazione può trasformarsi, per alcuni, in un delirio persecutorio. L’accelerazione della vita sta producendo una totale assenza del tempo necessario alla  metabolizzazione degli eventi, affinché si possano trarre  insegnamenti utili  dalle esperienze di vita. Gli accadimenti mortiferi di oggi, perpetrati nei confronti delle donne,  impongono una riflessione  che non circoscriva la responsabilità  all’imponderabile, ma a quanto è stato costruito in modo stereotipato negli anni intorno alla figura e al ruolo della donna all’interno della società, al punto che l’emancipazione della donna  non abbia avuto giusta corrispondenza  nella costruzione delle  coscienze. La divaricazione tra i cambiamenti che riguardano il mondo femminile, con la percezione consapevole di essi,  produce un’ inevitabile incomprensione con il mondo maschile che, per quanto accetti razionalmente l’emancipazione della donna, ancora non ne è pronto emotivamente, culturalmente, antropologicamente a interiorizzarlo.

L’àncora, simbolo del cambio di prospettiva, richiede un cambio di accento nella  cultura, nell’ambiente educativo e pedagogico da parte delle famiglie e delle istituzioni, oltre al cambio di accento  nelle aspettative di   funzioni  femminili, in considerazione  del  ruolo che ha  la donna all’interno della società del terzo millennio.

Il tempo del  cambiamento delle coscienze, sarà lungo e impervio, però possibile, ma sarà necessario un tempo lento e costante, perché l’essere umano non è un robot,  la vita non è un computer e, ancora di più, è irripetibile e irreversibile. Il pensiero irreversibile è un’acquisizione  matura fin dall’infanzia, ma  che l’adulto ha inibito nella presunzione onnipotente  di poter rimediare a  qualunque comportamento, paradossalmente, anche mortifero, come se fosse  concesso un game over.

Solo recuperando il tempo, il significato, il valore e il rispetto per la vita propria e dell’altro,  è possibile cambiare prospettiva e cambiare accento, per trovare il giusto passo verso la consapevolezza.

 

Il progetto “Un’àncora per non dire più ancòra” è partito l’8 marzo 2017 e continuerà il suo cammino con iniziative che  cercheranno di dare continuità alla riflessione psicologica sul mondo femminile.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

Concerto per l’Ombra

CONCERTO PER L’OMBRA

 

La possibilità di assistere a un concerto in un   carcere è un’esperienza che travalica qualunque aspettativa. Quando si  ascolta un concerto in un auditorium o in un teatro, ci si trova immersi in un’atmosfera suggestiva, che consente di sprofondare nella rete pentagrammata che la composizione eseguita consente, per lasciarsi  andare alla leggerezza della musica, ipotizzando che le stesse sensazioni possano essere riproducibili in qualunque situazione analoga, ma non è così!   Il luogo in cui si svolge un concerto ha la sua peculiarità,  che ne caratterizza il senso e la finalità. Se, infatti,  il luogo è un carcere e   gli spettatori sono detenuti,  la musica assume un valore indescrivibile.  Le regole cambiano, non si entra con un biglietto, ma con un permesso e gli spettatori  non entrano  come capita un po’ alla volta, ma tutti insieme, come un nucleo uniforme senza identità e senza individualità.  Un nucleo  di energia compressa e blindata, affinché possa depotenziarsi attraverso la contenzione al di là del contenimento.   Il piccolo popolo tra le sbarre evoca il piccolo popolo che abitata in ognuno di noi e che chiede di essere ascoltato, accolto e  decodificato per essere tradotto nella luce della coscienza e  renderlo comprensibile  nel suo significato.  L’ombra lunga della colpa  cela il tormento  di una vita  che stenta a trovare un suo centro intorno a cui edificare progetti e desideri, invece di  azzardo e trasgressioni.  L’incontro con il piccolo popolo, che dall’immaginario collettivo entra nella realtà individuale,  ha un effetto dirompente che esplode in un’emozione che apre varchi tra sbarre e recinti fino ad arrivare al cuore di ognuno.   La musica   fa dileguare  per un attimo l’ombra dell’umanità per lasciare il posto a un raggio di luce  che si fa strada tra le lacrime che furtivamente si asciugano, ma che lasciano un segno. Il concerto per l’Ombra, archetipo che si attiva nei momenti più bui della coscienza e dirompe improvvisamente, è un evento paradossale, perché la musica è espressione della massima creatività dell’essere umano frutto dell’integrazione degli opposti, mentre l’ombra è rappresentativa della più profonda scissione della coscienza dai suoi  aspetti più oscuri. Il paradosso musicale per l’ombra, però,  sintetizza quanto un luogo di detenzione si prefigge e, cioè, restituire  al detenuto una nuova individualità  consentendo una congiunzione degli opposti, affinché la consapevolezza diventi guida per la costruzione  di una coscienza di sé e delle proprie potenzialità da sviluppare al servizio della  costruttività.  La chiave musicale è una chiave universale che consente di accedere a un’esistenza autentica in un percorso individuativo,  in cui dare senso alla propria vita  al di là del Bene e del Male.

 

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

Stelle Cadenti

STELLE CADENTI

 

In questi giorni  il cielo della notte dovrebbe essere attraversato da scie luminose causate  da frammenti di meteore  incandescenti, chiamate stelle cadenti.  Se si scruta il cielo, lontano dall’inquinamento luminoso delle città, si dovrebbe poter assistere allo spettacolo  naturale di pioggia di piccoli fuochi,  esprimendo un desiderio, almeno questa è la tradizione. Quando si parla di desideri, in genere, la lista sembra essere lunghissima,  al punto di non sapere a quale di essi dare la precedenza. È il  pensiero magico-animistico, legato all’infanzia, che induce persone adulte a credere a questi eventi propiziatori, affinché possano  favorire la realizzazione  di un desiderio,  regalando  l’illusione di un attimo di onnipotenza.   In fondo, perché non provare, al limite non succede niente!

Accade, anche, di incontrare persone che hanno smesso di desiderare, senza esserne consapevoli, rimanendo interdette di fronte alla richiesta di un desiderio.  Un desiderio non si risolve soltanto nell’improponibile aspirazione a vincere milioni di euro o trovare l’amore della vita, un desiderio può essere la spinta a superare le proprie paure per realizzare un progetto, per raggiungere un obiettivo e  oltrepassare la soglia del limite che impedisce di trovare se stessi.  Più spesso si attende che qualcosa accada, senza che un desiderio abbia creato un varco per avviare un percorso, rendendo vana l’attesa. Forse, c’è sempre stato un equivoco di fondo che ha lasciato confondere  il significato di desiderio con qualcosa  di effimero e quindi  distraente rispetto alla necessaria fatica per arrivare alla meta  prefissa.

Senza voli pindarici, un desiderio può attivare un’azione utile per costruire  l’impalcatura che consente di lavorare intorno alla propria opera, investendo, comunque, energia psico-fisica, perché non c’è bacchetta magica che realizzi  desideri, se non quella della perseveranza e della lungimiranza. In realtà, la differenza tra vivere e sopravvivere sta proprio nella capacità di desiderare e si dovrebbe essere nella condizione psicologica di poter sempre desiderare, anche quando  si è più inclini alla paura di incorrere in una disillusione, soprattutto  in età in cui si può avere la sensazione di avere realizzato tutto sentendosi sazi o meglio ancora stanchi, senza energie.

Quale miglior ricostituente o integratore, allora, può essere il desiderio di continuare a cercare se stessi  seguendo la strada più adatta  per plasmare l’ opera della vita,  attivando l’artista interno che cura ogni male consentendo di poter recitare insieme a  Cicerone   “opera desiderat tempus et animum vacuum ab omni cura” (l’opera  necessita  di tempo e di animo libero da ogni  preoccupazione)!

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

 

 

 

BINARIO MORTO

BINARIO MORTO!

Tante parole sono state spese per commentare lo scontro tra due treni accaduto in Puglia   due giorni fa, ma tante altre rimangono bloccate in gola dalla rabbia e dal dolore.

Nel tempo affioreranno le parole del lutto e della perdita, che consentiranno alle emozioni di lasciare il posto al ricordo e  nel ricordo sarà utile evitare di re-agire all’evento, ma di agire, perché l’azione costruisce nuove strade, mentre la re-azione mantiene quelle già percorse.  Strade già percorse a senso unico alternato, che hanno dato la precedenza alla morte, lacerando la terra della Grande Madre con  una ferita profonda  e penetrante.  Tra gli ulivi, simbolo della rinascita a nuova vita, trova, paradossalmente, spazio la morte.  Il senso della vita, in queste tragedie, vacilla, rimanendo  avvolto sempre più nel mistero  e la domanda che ricorre tra i sopravvissuti  è: “perché accadono questi eventi?”, ma al di là delle responsabilità umane,  la risposta non ci sarà.

Come rispondere, allora, al bisogno di sapere e di capire?   Nel caso specifico l’incidente è accaduto perché  uno dei due treni non ha aspettato l’arrivo dell’altro per partire,  è avvenuta un’accelerazione di eventi che si sono sovrapposti, come spesso accade ormai nella quotidianità di ogni essere umano, si affastellano impegni di vario tipo senza riuscire più a distinguere le vere priorità  e la vita è una di queste, dimenticata, come se fosse scontato vivere, mentre in realtà è scontato solo morire.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicolterapeuta

BREXIT

Il destino dell’Europa è di essere abbandonata, alla stregua della ninfa Europa che, dopo essere stata sedotta, fu abbandonata da Zeus nella terra che oggi prende il suo nome!  Disarcionata, ancora oggi, dalla Gran Bretagna  che è sempre stata sulla soglia della porta europea, nel dubbio amletico di  essere o non essere in Europa.

Il 23 giugno 2016, il popolo britannico ha votato di lasciare l’Europa aprendo scenari ignoti. L’ignoto non può essere spiegato attraverso il noto, cioè  il conosciuto, quindi qualunque previsione  potrebbe essere azzardata, rispetto alle conseguenze. Prevedibile è  che la separazione produrrà smarrimento e paura in chi vive situazioni già precarie e poco definite in Gran Bretagna, prevedibile è modificare schemi mentali che collocavano un tassello sicuro nella mappa europea. Prevedibile è la necessaria riflessione sull’evento, da parte di chi avrà l’obbligo di rivedere il potere politico ed economico agito fino ad oggi, nel governare il sogno europeo nato  sull’isola di Ventotene, da parte di uomini e donne che vedevano nell’Europa unita l’unica possibilità di difesa da nemici invasori.  Oggi, non è chiaro chi siano i nemici o gli amici dell’Europa, sicuramente la confusione è evidente e l’elettroshock del voto della grexit  impone di fermarsi, per cercare un  nuovo punto di vista con cui osservare l’orizzonte del futuro oltre qualunque miopia  che accorcia il campo visivo.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA DI HOKKAIDO

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA   DI   HOKKAIDO

 

 

Cosa avrebbe pensato il regista giapponese Akira Kurosawa dell’abbandono nella foresta di un bambino  di sette anni da parte dei genitori che volevano punirlo per aver tirato sassi  ad automobili di passaggio?

Ovviamente, è un episodio deplorevole che ha messo a repentaglio la vita di un bambino che non trova nessuna giustificazione, ma  l’evento mi ha riportato alla memoria il  film Sogni del regista Kurosawa. Nel film c’è un episodio onirico “Il sole attraverso la pioggia” in cui  una madre dice a suo figlio che in quel giorno di sole e di pioggia le volpi celebrano il loro matrimonio e nessuno può vederle, quindi invita il piccolo bambino a non andare nel bosco. Naturalmente il divieto ha scatenato la curiosità del bambino che assiste alla processione celebrativa delle volpi. Al suo ritorno a casa trova sua madre che lo aspetta sulla soglia della porta, con in mano un oggetto che per lui  hanno lasciato le volpi: un coltello!  La madre esorta il figlio ad andare a chiedere perdono alle volpi  con “fronte a terra e mani giunte”, nella speranza che gli venga concesso, e chiude la porta di casa, lasciandolo solo a decidere della sua vita: perdono o suicidio, cioè karakiri!. Il bambino si avvia verso la casa delle volpi  ai piedi  dell’arcobaleno che nei giorni  in cui il sole e la pioggia si sposano, si manifesta nelle sua maestosità. L’episodio termina con il bambino che con coraggio si avvia, anche se il suo  cuore è  pieno di paura e  se otterrà il perdono non è dato saperlo. Quanto è accaduto al bambino giapponese abbandonato, realmente, nel bosco dai suoi genitori per punizione e ritrovato miracolosamente vivo, ricorda molto il bambino lasciato al suo destino per aver trasgredito un divieto. Evidentemente, il film di Kurosawa narra di paure  oniriche che  affondano le radici nell’inconscio  collettivo e si palesano in tutta la loro drammaticità, affinché se ne possa trovare una catarsi. “La realtà onirica di Sogni  si apre infatti a una visione dell’inconscio che non è solo personale, ma che radica le sue immagini nel fondo collettivo della psiche”. Carotenuto,A. Jung e la Cultura del  XX Secolo,Milano,Bompiani,1995 pag.122,123.

La riflessione indotta dall’abbandono del bambino nella realtà e nell’immaginario  collettivo  ci pone a una distanza più ravvicinata dall’evento accaduto in Giappone, nella speranza che non si  archivi l’episodio come pura follia di quei  genitori, sentendosi estranei a scelte punitive così tragiche.  La trasgressione va di certo stigmatizzata a fini pedagogici, ma le conseguenze circa la punizione che si infligge  va ponderata, perché, se supera la soglia della paura, potrebbe lasciare tracce indelebili. È vero che  il film è  di un regista giapponese e l’episodio è avvenuto in Giappone, ma l’Oriente,  nel  mistero a volte impenetrabile della sua cultura,  ci  risveglia, anche tragicamente,  ad una riconsiderazione della vita e dei suoi valori,  dati troppo spesso per acquisiti. Forse, le volpi del film insegnano che il perdono esiste  come opposto alla punizione  estrema, e che il bambino giapponese sia stato salvato proprio da loro, in attesa che l’umanità rinsavisca e  vada ai piedi dell’arcobaleno a chiedere perdono.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

RADIOHEAD

 

RADIOHEAD

 

Come commentare la scelta del gruppo musicale Radiohead di  congedarsi dal web, spegnendo una per una tutte le luci che illuminavano i loro social network? Interessante, prima di tutto, al di là dell’intento. In fondo può essere una trovata pubblicitaria, per far parlare di loro anche nel silenzio o per indurre una riflessione  sulla vita virtuale per ricondurla al reale o per vivere l’ebbrezza di  cadere in un  buco nero. Al momento non è dato sapere il motivo che sottende la scelta del gruppo  di Thom Yorke, ma per quanto ci riguarda potremmo capirne il senso.

Come a volte capita,  ci sono persone che riescono ad anticipare intuitivamente il cambio di rotta dei comportamenti  più diffusi, tra gli uomini e le donne del Pianeta Terra, che caratterizzano le varie epoche, e avere il coraggio di  avviare il cambiamento.  Sicuramente, è più semplice sparire, quando non si ha paura di essere dimenticati,  ma è pur vero che il web non consente  una vita virtuale  che tenga conto dei passaggi evolutivi di un individuo, famoso e non, perché le informazioni rimangono scolpite nell’etere come se fossero fresche di giornata, quando in realtà così non è! Allora, forse, azzerare il passato virtuale, consente di tornare nel presente e riproporsi in una nuova veste, più consona al  proprio sentire. In ogni caso riflettere sul bisogno di essere sempre connesso e presente nel web per filmare, fotografare, scrivere o postare continuamente la propria prova di esistenza al mondo che guarda, può produrre un bisogno di  vuoto e di assenza, per riappropriarsi dell’intimità della propria vita, per interiorizzare le immagini significative e portarle dentro di sé, affinché  producano humus necessario al nutrimento dell’anima. Certo non è stimabile il seguito che avrà la scelta dei Radiohead, nella popolazione del web,  ma sicuramente una traccia visibile nell’invisibilità, comunque, la lasceranno.

 

Sira Sebastianelli