Notte della Taranta

La città di Melpignano, in Puglia, il 27 agosto 2022 ospita la Notte della Taranta, serata conclusiva di una serie di iniziative culturali e musicali che ogni anno caratterizzano la terra del salento nel mese di agosto. Melpignano diventa il centro del mondo, dove convergono persone che desiderano partecipare al rito collettivo del morso del ragno. Suoni e danze attraversano i giorni più caldi dell’anno rievocando antichi riti religiosi e pagani legati al tarantismo. Il ragno, oggi, è il protagonista simbolico della taranta, ma nei secoli scorsi era l’artefice dei sintomi dolorosi di chi ne subiva il morso. I tarantolati erano curati con musica e balli che inducevano un’alterazione della coscienza fino ad arrivare all’estasi, momento in cui si placavano gli effetti del veleno inoculato dal ragno. La pizzica, prodotta da strumenti a corda, archi e percussioni, come tamburelli, con ritmi sincopati ripetitivi e ossessivi, che duravano giorni interi, accompagnava la danza del tarantolato, ma maggiormente delle tarantolate, tra convulsioni e urla. fino allo sfinimento.

Antropologi, etnologi, medici, psichiatri, psicologi ed etnomusicisti hanno studiato il fenomeno tarantismo per tracciarne i confini tra folklore e patologia, tra sintomo e simbolo, tra dramma e psicodramma, senza giungere a conclusioni definitive.

Il morso del ragno colpiva, nelle campagne del sud dell’Italia, particolarmente in Puglia, le persone che lavoravano nei campi, producendo forti dolori non sempre, per fortuna, mortali. Le giovani donne erano le più colpite, da una parte perché più impegnate nei lavori estivi e quindi esposte al morso, dall’altra perché il veleno sosteneva l’alibi per celare esplosioni emotive provocate da amori contrastati o traditi, come si racconta nel film Pizzicata di Edoardo Winspeare.

Il dilemma che fa oscillare tra isteria o epilessia, tra avvelenamento da aracnide o psicodramma della gelosia, non toglie nulla al fascino di questa terra del sud così taciturna e bruciata dal sole che si esprime con suoni e danze coinvolgenti e travolgenti. Il ragno s’ impossessa della preda, quasi in modo demoniaco, al punto di richiedere un esorcismo collettivo liberatorio da una cultura spesso oppressiva del mondo femminile, in passato vittima delle rigide regole della morigeratezza.

L’unica via d’uscita, quindi, patologicamente salvifica, dalla trappola del disonore e del ri-morso è il morso della tarantola.

Il tarantismo è un fenomeno complesso, la tela tessuta dal ragno è una rete che sembra proteggere, ma intrappola chi ne rimane impigliato. La pizzica, che accompagna il rito della taranta, ha un fraseggio ipnotico che incanta, al punto di non distinguere il confine tra realtà e fantasia, tra storia e mito, trascinando nel vortice di suoni radicati nei più profondi luoghi dell’anima. La Notte della Taranta si prefigge l’obiettivo di riprodurre le sensazioni, le emozioni, i dolori e le allucinazioni di un rito ancestrale attraverso la musica, la danza e le parole, affinché non si dimentichi un patrimonio culturale, storico e antropologico che appartiene all’umanità e che si vive e rivive, non a caso, nella terra della Grande Madre.

Lento Pede

Le alte temperature dell’estate 2022 hanno indotto gli esseri umani a modificare il loro stile di vita, per evitare di soffrire eccessivamente la canicola. Oltre a scegliere orari più freschi per svolgere attività sportiva e adottare diete con prodotti più ricchi di acqua, l’umanità, immersa nell’atmosfera bollente, ha anche ridotto il ritmo del cammino, rallentandone il passo. Scelta inevitabile e anche inconsapevole per difendersi dal caldo eccessivo e spesso insopportabile. L’espressione latina “lento pede” rende meglio l’idea di un passo che riduce la velocità e si fa costante nel ritmo, senza accelerazioni dispendiose. Il lento procedere offre anche il vantaggio di aiutare il pensiero a entrare nei meandri della mente ed esplorare spazi inediti come percorsi meditativi, inaccessibili durante corse frenetiche. Allora, perché non provare a mantenere un ritmo lento ma costante, anche quando le temperature sono più miti? Perché non trarre un piccolo insegnamento da un momento di necessità che ha frenato la corsa, a volte inutile, dell’andatura di vita? In fondo, della vita è importante il percorso e potervi procedere nella consapevolezza dell’incedere aiuterebbe a ritrovare il senso della vita stessa, tutti i giorni. Ognuno nel proprio piccolo ha un sentiero interiore, che traccia la mappa dell’esistenza, dove la freccia del tempo segna un unico senso, prezioso e ignoto, da scoprire passo dopo passo, possibilmente lento!

Terra, acqua, aria, fuoco

I quattro elementi della Natura, negli ultimi anni, hanno fatto sentire la loro presenza con tutta la loro dirompenza. Dall’Aria intrisa di virus, al Fuoco che imperversa ovunque, all’Acqua che scarseggia e alla Terra che desertifica. La sensazione diffusa è che non si riesca a risalire dal pozzo in cui sembra essere precipitata l’Umanità. Ultimamente mi domando spesso se il filosofo Eraclito, in questo periodo storico, avrebbe potuto avere l’intuizione che lo condusse al πάντα ῥεῖ (tutto scorre), quando nulla più scorre, né geo-fisicamente né metaforicamente. La società da liquida sta per essere liquefatta dal fuoco che scioglie qualunque forma di vita, perché l’acqua non è più sufficiente a spegnerlo e l’aria, paradossalmente, lo alimenta. Anni complessi che richiedono una lettura altrettanto complessa, perché i quattro elementi della Natura rappresentano la trama e l’ordito della vita. La vita dovrebbe ritrovare il rispetto necessario per se stessa, per le specie viventi, per tutto ciò che nasce, cresce e muore, avendo il diritto di vivere. L’Umanità non dovrebbe addestrarsi a sopravvivere, ma a vivere, nella ricerca di proteggere le condizioni che lo consentano, come, per esempio, evitando di dare per scontata l’eternità dell’acqua, dell’aria e della terra fertile. Come fare? La psicologia da tempo suggerisce di ritrovare il senso della vita ritornando a sentirsene protagonisti, accompagnando lo scorrere del tempo con la consapevolezza di viverlo nella costruzione di sé, fin dalle fondamenta. La percezione di essere piccole componenti della totalità non deve scoraggiare, ma ancora di più sentirsene parte, perché ognuno, nel suo percorso di vita individuale, può imprimere la sua impronta indelebile nella storia dell’Universo.

8 Marzo 2022

Quale significato ha oggi l’otto marzo? Ormai da decenni si celebra questo giorno per riflettere, per ricordare, per ipotizzare nuove strade che le donne possano percorrere, per trovare rispetto, considerazione, parità, dignità, riconoscimento di meriti, assenza di discriminazione. L’Umanità è reduce da una pandemia devastante i cui effetti si sentiranno ancora nel tempo, ma nel contempo è immersa in una guerra incomprensibile che non consente di oltrepassare la soglia della paura verso la salvezza. Il mondo femminile, molto provato dalla pandemia, dopo essere stato in prima linea per difendere il proprio lavoro spesso perso e non ritrovato, ma soprattutto la propria vita, considerando le esplosioni dei conflitti familiari a volte con esiti mortali, continua a vivere nella sofferenza. Oggi, però, vorrei ricordare l’otto marzo come un giorno dedicato alla vita, alla rigenerazione, alla consapevolezza di sé, al femminile nel suo significato più ampio dove albergano le emozioni, la sensibilità, la creatività, la cura, l’accudimento di sé e degli altri, la fertilità, l’empatia, la resilienza, oltre a tutto ciò che aiuta a costruire. L’Anima, come Carl Gustav Jung definiva l’immagine psichica del femminile, è l’archetipo della vita, l’origine del mondo, da tutelare e da preservare. Se il femminile trovasse spazio nelle sue peculiarità all’interno delle coscienze degli uomini e delle donne, riconoscendone le potenzialità contenute, sarebbe più semplice avviare l’Umanità verso un destino comune di salvezza e non di distruzione, al quale sembra essere incamminata. Contro l’inverno dello spirito Marguerite Yourcenar auspicava la costruzione di granai, dove mettere a dimora i semi del sapere e della conoscenza, per scongiurare la denutrizione dell’Anima, quando si sentono arrivare i momenti bui dell’Umanità.

L’Otto Marzo come celebrazione del femminile, per depotenziare la forza distruttiva dell’Archetipo dell’Ombra e attivare risorse per uscire alla luce in un risveglio di pace, penso sia una utile lettura del giorno più evocativo dell’anno.

EXIT/USCITA

Quanto sollievo produce all’anima la segnaletica che indica l’uscita? Nei percorsi sotterranei per prendere una metropolitana o per attraversare un tunnel che corre nel cuore di una montagna, si può provare un senso di disagio che acuisce il bisogno di intravedere una piccola luce guida per uscirne velocemente. L’esperienza di tunnel e gallerie è quotidiana per molte persone che per diversi motivi le attraversano, senza neanche pensare alle profondità raggiunte, ma per molte altre, invece, ritrovarsi in una zona d’ombra della vita senza intravedere l’uscita è fonte di malessere profondo, quanto un viaggio al centro della Terra. La claustrofobia è il termine che sintetizza la dolorosa sensazione di oppressione o di soffocamento quando si ha la percezione di non avere vie di fuga. Luoghi chiusi o troppo affollati possono scatenare il sintomo claustrofobico che trova sollievo, nell’immediato, solo uscendo all’aperto. Nel periodo pandemico, specialmente durante il Claustrum che inchiodava tutti gli abitanti del Mondo nei luoghi chiusi, i claustrofobici hanno sofferto sicuramente di più, non potendo avere via libera, sentendosi come animali in gabbia! Ora che le sbarre sono state allargate ci si trova di fronte a un’altra difficoltà rappresentata dall’agorafobia, cioè paura dei luoghi aperti. La paura di sentirsi in mezzo a una grande piazza senza protezioni che ne delimitino lo spazio, al punto di obbligare chi ne soffre a non poter uscire da casa senza essere accompagnati. La fobia è il comune denominatore di questi due sintomi che possono produrre grave disagio all’ esistenza di chi ne sia portatore. La fobia è una paura parossistica che non recede di fronte a una verifica della realtà che potrebbe scongiurarne il timore, a volte è sufficiente evocare l’oggetto o la situazione fobica che si scatena il sintomo. Gli anni vissuti, con le restrizioni dettate dallo stato di emergenza, hanno reso manifesto ciò che era latente, perché fasi della vita fortemente critiche possono creare varchi che consentono al sintomo di palesarsi. Phobos, la paura dei Greci, è anche ansia, angoscia, tremori, sensazione di pesantezza agli arti inferiori, sudorazione, stordimento, palpitazioni, dispnea, manifestazioni che caratterizzano l’attacco di panico. Il panico, termine che deriva dal mitico dio Pan, spinge alla fuga, per allontanarsi dal disagio, rimanendo, paradossalmente, immobili. Il pensiero e l’azione nell’attacco di panico si paralizzano e diventa impossibile attuare una reazione utile a placare l’attacco. Claustrofobia, agorafobia, attacchi di panico possono compromettere la qualità della vita, imponendo la necessità di trovare una via d’uscita. Ogni persona ha una propria strada da percorrere per trovare l’uscita, perché i sintomi, per quanto possano essere gli stessi per tutti, contengono un significato diverso per ognuno. Quando si attraversano zone d’ombra nella vita, è importante riuscire a fare luce per trovare gli strumenti psichici che consentano di decodificare il malessere e dare senso a quel segmento di vita intriso di passato, che non riesce a trasformarsi in futuro. Il conflitto tra il passato e il futuro, tra ciò che si era e ciò che si potrebbe essere, si risolve nel presente, coniugando il tempo indicativo della via d’uscita.

Intermittenze

Periodo natalizio decorato e illuminato nelle strade e nelle case. Luci che si rincorrono disegnando forme augurali con intermittenze, che alternano istanti impercettibili di buio con raggi luminosi. Intermittenze del Natale che sembrano essere in sintonia con quanto accade in questi giorni, in cui luci e ombre sovrastano l’Umanità. L’intermittenza è rapida, non lascia spazio al pensiero che vorrebbe trattenere la luce per osservarla o il buio per immaginarlo. L’intermittenza è una luce veloce, che corre in avanti e indietro senza lasciare tempo al respiro per seguirne la corsa. Chi non si sente intermittente in questa fase storica della vita? Sicuramente molte persone si accendono e si spengono rapidamente senza capirne il senso, ma solo vivendone il disagio. È anche faticoso accendersi e spegnersi tra entusiasmi e delusioni o tra slanci di desiderio e inibizioni. Una fase dell’esistenza che fluttua tra luce e buio in un ossimorico continuum intermittente. È importante cogliere i momenti di luce per illuminare la propria esistenza, nella consapevolezza che la ricerca di sé necessita di quel raggio che sconfigge le tenebre, anche solo per un istante. Il nuovo anno sta bussando alla porta di ognuno per risvegliare la coscienza a intraprendere un nuovo cammino per ritrovare fiducia, forza vitale e progettualità, affinché l’intermittenza della luce si trasformi in permanenza costante e continua, per illuminare la strada da percorrere, prendendo per mano il coraggio e oltrepassare la soglia del futuro senza paura.

25 Novembre 2021 Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il 25 novembre è un giorno che si colora di un rosso sempre più vivo, come il sangue delle donne uccise, offese e umiliate, in numero sempre crescente. Ogni anno si concentrano riflessioni, pensieri, ricerca di significati, ma sembra che nulla riesca a porre argine alla violenza.

La violenza sulle donne purtroppo è sempre esistita e spesso anche esibita con esecuzioni pubbliche come accadde a Beatrice Cenci, giovane donna di 22 anni che uccise il padre dopo averne subito violenze, abusi e privazione della libertà. Beatrice Cenci cercava giustizia, ma non cercò attenuanti per il suo gesto, accettando il suo cruento destino. Tra la folla assiepata a Ponte Sant’Angelo, nella Roma di Papa Clemente VIII, per assistere all’esecuzione nel 1599, c’era Artemisia Gentileschi, ancora una bambina di sei anni, insieme al padre Orazio. L’artista Orazio Gentileschi, come altri artisti, sembra ci fosse anche Caravaggio, nella piazza del patibolo osservava, si presume, l’emozione nei tratti dei volti dei condannati per riprodurli su tela, un tentativo estremo di restituire vita a chi la perdeva. La sincronicità singolare sta nell’incrocio dei destini di Beatrice e Artemisia, quest’ultima ancora ignara del futuro incontro con un uomo violento, ma preconizzante del desiderio di giustizia che avrebbe riprodotto su tela con la morte di Oloferne per mano di Giuditta. Per Artemisia bambina, assistere a una esecuzione cruenta di una giovane donna, avrà sicuramente lasciato una traccia nella memoria delle emozioni, insieme a tante domande cui dare risposta attraverso la minuziosa ricerca di particolari espressivi dei volti, per dipingere i tratti della vittima e del carnefice. Vittima e carnefice, legati da un ineluttabile destino di sofferenza, subita e inflitta, il cui confine non deve mai essere confuso.

Beatrice e Artemisia, due donne contemporanee che hanno ucciso il loro carnefice, la prima realmente, la seconda artisticamente, nella ricerca di una catarsi dalla mortificazione, dall’ insostenibile peso dell’impotenza e dalla ricerca di una via di uscita, a costo della propria morte. La violenza, in qualunque sua forma, lascia un’impronta indelebile nel corpo e nell’anima di chi la subisce, con la quale non è semplice coabitare. I lettori e le lettrici del mio sito www.sirasebastianelli.it conoscono il progetto

itinerante, da me ideato e promosso, “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, che vede impegnate cinque arpe e cinque arpiste dell’Ensemble Sinetempore Harp Attack, per sensibilizzare le coscienze, attraverso la musica e la narrazione di antiche ballate popolari. Come scrive in “Oltre la terapia psicologica” lo psicoanalista Aldo Carotenuto: “La narrazione è una rappresentazione trasfigurata del pathos, per questo rende possibile un’esperienza catartica” e, di conseguenza, un processo di identificazione necessario per percepire e vivere le emozioni. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

Perché qualcosa cambi si può iniziare da sé e credere, come il filosofo Alain Badiou, “in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera”, solo in questo modo si può ridare senso e forza a una giornata come il 25 novembre.

Novembre

Novembre è il mese della memoria. È il mese in cui ricorre il giorno dedicato ai defunti, coloro che non abitano più fisicamente tra gli affetti dei loro cari, ma abitano tra i ricordi e le tracce della memoria di tutti. “Assenza più acuta presenza” recita una poesia di Attilio Bertolucci, sintesi, che solo nella poesia è possibile, del senso della mancanza. L’elaborazione del lutto pervade la vita degli esseri umani, perché il ciclo della vita prevede una nascita e una morte, coinvolgendo l’Umanità nella necessità di confrontarsi costantemente con la felicità di accogliere e il dolore di lasciar andare. Non è facile entrare in una dimensione così complessa e fonte di sofferenza quale la irreversibile separazione da una persona cara, le cui componenti sono il tempo, i ricordi, la memoria e l’emozione. Esiste la possibilità di oggettivare tali componenti? Certamente no, la soggettività rende unica la perdita e il prenderne coscienza. Il tempo cronologico non corrisponde al tempo interiore, quindi è necessario che ci sia il rispetto della soggettività del dolore, senza cercare scorciatoie o anestetici. L’emozione che si lega ai ricordi richiede anch’essa di un tempo che ne possa alleviare l’intensità, per consentire di lasciare cadere lo sguardo nei luoghi della memoria senza esserne sopraffatti. Novembre è anche è il mese delle foglie che cadano dai rami degli alberi, per iniziare il loro un nuovo viaggio affidandosi al soffio del vento.

Lighthouse

Il Faro, casa luce, che con il suo fascio luminoso squarcia le tenebre marine, indicando la rotta per approdare in un porto sicuro. Il Faro, luogo magico da dove scrutare l’infinito, spesso collocato su una piccola isola tra flutti marini che ne sovrastano gli scogli. In passato la luce era quella del fuoco vivo che il guardiano manteneva acceso come il fuoco sacro del tempio vegliato dalle Vestali, affinché non si spegnesse mai. Il Faro, come casa luce di fuoco, rappresenta la vita in un posto sicuro, quando il mare è in tempesta. Una guida, una corsia salvifica da percorrere per ritrovare il calore e l’accoglienza che gli esseri umani cercano in fasi difficili della propria esistenza. Non è un caso che il fuoco salvifico che indica la strada si trovi su un’isola dove riecheggia la dimensione della solitudine, luogo dell’anima nel quale è utile tornare nei momenti in cui si ha bisogno di guardare l’orizzonte senza interferenze. Come già ebbi modo di scrivere, isola è l’anagramma di asilo, (ASILO&ISOLA anagramma dell’anima), quasi a rinforzare il significato di ospitalità e protezione. L’autunno è la stagione che stimola la ricerca del rinnovamento creativo per progetti che diano slancio all’esistenza. Ecco che il Faro diventa un riferimento importante e rassicurante da cercare dentro di sé, affinché si proceda nel cammino di vita con il fuoco della casa luce interiore.