È da diverso tempo che avverto un corto circuito quando leggo notizie di cronaca che, da una parte, esaltano l’impegno profuso dai ragazzi e dalle ragazze per salvare il Pianeta Terra e, dall’altra, stigmatizzano comportamenti pericolosi dei giovani alla guida di automobili incapaci di salvare e stessi.
Il paradosso, che mi sembra evidenziarsi, ritengo stia nel constatare che ci siano ragazzi e ragazze attivi nel tutelare il loro futuro, delineando lucidamente i comportamenti inadeguati degli adulti, ma ci siano anche ragazzi e ragazze insensibili nel valutare le conseguenze della loro guida spericolata, che ogni settimana conta decine di morti sulle strade, al punto di rischiare l’elisione dalla loro vita non solo del futuro, ma anche del presente. La previsione della ricaduta nefasta di una condotta errata dovrebbe potersi estendere dall’eccesso di inquinamento all’eccesso di velocità, ma è un parallelismo inefficace.
Un’ipotesi potrebbe essere formulata considerando che i giovani, quando sono alla guida di un’automobile, sopravvalutino se stessi nella destrezza al volante sentendosi fatalmente immortali. Eppure, se le nuove generazioni hanno paura di non avere futuro perché la Terra sarà invivibile tra cinquanta anni, ugualmente dovrebbero averne quando mettono a rischio la propria vita shakerando droghe, alcol e velocità. Anche il Presidente della Repubblica ha esortato tutti a una guida prudente, ma sembra senza esito. Da decenni si attivano campagne pubblicitarie per smuovere le coscienze ai valori della vita e alla responsabilità che ognuno ha nei confronti di se stesso, ma sempre senza particolare successo. L’ebbrezza di affondare il pedale dell’acceleratore e vedere scorrere la vita fino allo schianto prevedibile, è, sicuramente, un film già visto, ma che si replica senza pause. Il tachimetro che sale vertiginosamente produce una frastornante eccitazione, che ottunde la coscienza e vanifica ogni buon proposito salva-vita. La morte che sfida la vita, come pulsioni opposte che si misurano in un braccio di ferro spietato, dove, però, chi vince ha comunque perso! Mi viene in mente Icaro, che con ali di cera è volato verso il sole, ignaro della inconsistenza della materia delle sue ali, cadendo inesorabilmente. Gli antichi greci chiamavano ὕβρις (Hýbris) la tracotanza che spingeva l’eroe oltre i confini umani, che gli dei punivano sempre, affinché si evincesse il mancato riconoscimento dei propri limiti. È probabile che il paradosso dei giovani stia proprio nel non percepire i propri limiti, ma nello stesso tempo nel saper riconoscere e condannare i limiti degli altri, quando non rispettano se stessi, il mondo e la natura.
Vero è che non tutti i giovani cercano l’ebbrezza della velocità, dell’alcol e delle droghe, avendo sperimentato emozioni altrettanto psichedeliche ma costruttive. La giovane età, però, per quanto esaltata come la migliore stagione della vita, nasconde molte incertezze e disagi affrontati con strumenti e risorse non sempre adeguate. I venerdì dedicati al futuro, della protesta dei giovani di Greta Thumberg, rischiano di naufragare il sabato, perché la giovane età è paradossale per definizione, collocandosi agli estremi del bene e del male nella ricerca difficile di un equilibrio. Se i giovani lottano per salvare il futuro, gli adulti dovrebbero lottare per salvare il loro presente, offrendo spunti creativi per esprimere difficoltà e inadeguatezze, per sostenerli nell’accesso alla cultura, allo sport e all’esplorazione di se stessi e del mondo, considerandoli parte viva e attiva del presente. Più i giovani si sentono parcheggiati in attesa della realizzazione di sé, più cercano di rincorrere quel futuro che non arriva mai, sorpassando pericolosamente il presente.