25 Novembre = Giorno dell’Argento

Il venticinquesimo anniversario di matrimonio è chiamato d’argento, per sottolineare la preziosità del traguardo raggiunto, ma con ancora tanta strada da percorrere per raggiungere l’oro del cinquantesimo. Per associazione numerica potremmo colorare d’argento il 25 novembre, giorno dedicato alla ricorrenza internazionale per la lotta contro la violenza sulle donne, perché l’argento è il metallo che più di altri può rappresentare la difficoltà per giungere al traguardo d’oro della eliminazione della violenza.

L’argento, come si può verificare su un qualunque oggetto creato con questo metallo, reagisce all’aria e perde la sua brillantezza, fino ad arrivare lentamente all’opacità primitiva. L’argento ha bisogno di costante manutenzione, non è auto-lucidante e può essere erroneo pensare che una volta ottenuta la sua lucentezza rimarrà così per sempre. La metafora dell’argento è estendibile a tutto ciò che richiede attenzione costante e cura continua, come già ebbi modo di spiegare durante l’intervista rilasciata nel 2009 all’Agenzia di Stampa Giornalistica ADN Kronos (clicca qui per leggere l'articolo). La violenza contro le donne esiste purtroppo da secoli e negli ultimi decenni sembra essersi moltiplicata, nonostante le innumerevoli iniziative mirate alla prevenzione. Le ipotesi riguardano le radici culturali della violenza, i pregiudizi e gli stereotipi che indugiano ancora nella percezione della emancipazione del femminile e la labile memoria degli eventi cruenti ed efferati contro le donne che affollano le pagine di cronaca, ma che volano via dopo qualche giorno. Per questo motivo l’argento ci aiuta a capire quanto l’attenzione debba essere costante e la divulgazione psico-pedagogica, finalizzata alla costruzione delle coscienze, prima ancora della loro sensibilizzazione, sia fondamentale. La lucentezza della consapevolezza profonda del rispetto per l’essere umano si produce con il lavoro costante e continuo delle coscienze. La prevenzione della violenza sulle donne necessita di riflettori sempre accesi affinché si vada oltre il pregiudizio e si interiorizzi una immagine del femminile non più stereotipata e quindi legata a mansioni e ruoli che negli ultimi cento anni sono cambiati. Il processo del cambiamento è lungo, ma non bisogna desistere, perché proprio come l’argento basta poco per vanificare il lavoro compiuto e ritornare alla dimensione grezza e primitiva delle coscienze.

La costruzione delle coscienze è l’intento che il progetto itinerante “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, da me ideato e promosso, si prefigge insieme all’Ensemble, di arpe e voci, Sinetempore Harp Attack. Un àncora di salvezza, quindi, affinché tutte le donne possano approdare in un porto sicuro, per non dire più ancóra, tutte le volte che si ha notizia di un femminicidio. L’Ensemble Sinetempore, composto di quattro arpiste e quattro arpe celtiche, propone un repertorio di ballate antiche coniugate al presente, tratte dal canzoniere popolare internazionale, le cui tematiche vertono sulle vessazioni e le violenze che le donne hanno subito nei secoli. Lo strumento dell’arpa non è una scelta casuale, poiché le corde di cui è composta producono vibrazioni che meglio di altri strumenti entrano in risonanza con le emozioni, attivando canali di comunicazione più efficaci di tante parole. L’ascolto della musica e dei testi consente, a chi ascolta, di identificarsi con i personaggi e la storia, lasciando che le emozioni, sollecitate dalle risonanze dell’arpa, affondino nella propria coscienza producendo un effetto catartico. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno, lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

 

Sira Sebastianelli

psicoterapeuta-arpaterapeuta

25 Novembre 2021 Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il 25 novembre è un giorno che si colora di un rosso sempre più vivo, come il sangue delle donne uccise, offese e umiliate, in numero sempre crescente. Ogni anno si concentrano riflessioni, pensieri, ricerca di significati, ma sembra che nulla riesca a porre argine alla violenza.

La violenza sulle donne purtroppo è sempre esistita e spesso anche esibita con esecuzioni pubbliche come accadde a Beatrice Cenci, giovane donna di 22 anni che uccise il padre dopo averne subito violenze, abusi e privazione della libertà. Beatrice Cenci cercava giustizia, ma non cercò attenuanti per il suo gesto, accettando il suo cruento destino. Tra la folla assiepata a Ponte Sant’Angelo, nella Roma di Papa Clemente VIII, per assistere all’esecuzione nel 1599, c’era Artemisia Gentileschi, ancora una bambina di sei anni, insieme al padre Orazio. L’artista Orazio Gentileschi, come altri artisti, sembra ci fosse anche Caravaggio, nella piazza del patibolo osservava, si presume, l’emozione nei tratti dei volti dei condannati per riprodurli su tela, un tentativo estremo di restituire vita a chi la perdeva. La sincronicità singolare sta nell’incrocio dei destini di Beatrice e Artemisia, quest’ultima ancora ignara del futuro incontro con un uomo violento, ma preconizzante del desiderio di giustizia che avrebbe riprodotto su tela con la morte di Oloferne per mano di Giuditta. Per Artemisia bambina, assistere a una esecuzione cruenta di una giovane donna, avrà sicuramente lasciato una traccia nella memoria delle emozioni, insieme a tante domande cui dare risposta attraverso la minuziosa ricerca di particolari espressivi dei volti, per dipingere i tratti della vittima e del carnefice. Vittima e carnefice, legati da un ineluttabile destino di sofferenza, subita e inflitta, il cui confine non deve mai essere confuso.

Beatrice e Artemisia, due donne contemporanee che hanno ucciso il loro carnefice, la prima realmente, la seconda artisticamente, nella ricerca di una catarsi dalla mortificazione, dall’ insostenibile peso dell’impotenza e dalla ricerca di una via di uscita, a costo della propria morte. La violenza, in qualunque sua forma, lascia un’impronta indelebile nel corpo e nell’anima di chi la subisce, con la quale non è semplice coabitare. I lettori e le lettrici del mio sito www.sirasebastianelli.it conoscono il progetto

itinerante, da me ideato e promosso, “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, che vede impegnate cinque arpe e cinque arpiste dell’Ensemble Sinetempore Harp Attack, per sensibilizzare le coscienze, attraverso la musica e la narrazione di antiche ballate popolari. Come scrive in “Oltre la terapia psicologica” lo psicoanalista Aldo Carotenuto: “La narrazione è una rappresentazione trasfigurata del pathos, per questo rende possibile un’esperienza catartica” e, di conseguenza, un processo di identificazione necessario per percepire e vivere le emozioni. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

Perché qualcosa cambi si può iniziare da sé e credere, come il filosofo Alain Badiou, “in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera”, solo in questo modo si può ridare senso e forza a una giornata come il 25 novembre.

Sincronicità a Vezzolano

Il 7 agosto 2021 l’Ensemble Sinetempore Harp Attack ha avuto un doppio appuntamento nella splendida Abbazia Santa Maria di Vezzolano ad Albugnano (Asti) per presentare il PROGETTO ITINERANTE sulla violenza contro le donne:

“UN’ ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÓRA,

CAMBIARE ACCENTO PER CAMBIARE PROSPETTIVA”

L’Abbazia di Vezzolano è molto antica e al suo interno si respira un’atmosfera magica, evocativa di antiche memorie. La sorpresa che ha toccato corde profonde, è stata la rappresentazione scultorea, in un capitello dell’abside, del presumibile personaggio biblico David con la sua arpa! È un capitello che ha subito il passaggio del tempo, ma la postura del suonatore d’arpa, dove è evidente la mano tra le corde, è stupefacente. La conferma che possa trattarsi realmente di David è data da un altro capitello simmetrico al primo che raffigura Salomone figlio di David, ben conservato con scritta sulla corona del nome. Ma dov’è la sincronicità? David, nel racconto biblico del primo Libro di Samuele (capitolo n.16), usava la sua cetra, ma la rappresentazione del capitello rivela una vera e propria arpa, per lenire l’esuberanza caratteriale di Saul rivelatrice di una sofferenza dell’anima. Il primo “arpaterapeuta” della storia conosciuta, usava le corde dell’arpa intuendone già le potenzialità terapeutiche. La sincronicità di cui ci parla lo psicoanalista Carl Gustav Jung induce a pensare che la scelta dell’Abbazia di Vezzolano non sia stata casuale per un’ Ensemble di cinque arpiste che hanno frequentato un master in arpaterapia. Un nesso acasuale che ha congiunto due eventi, per un incontro simbolicamente significativo. Come scrive Carl Gustav Jung: “Col termine di sincronicità intendo la coincidenza di dati di fatto soggettivi e oggettivi che non può essere spiegata, almeno con i nostri mezzi attuali, in termini causali”(Opere Vol.Ottavo, pag.222, Boringhieri).

Per il nostro sesto concerto è giunto un regalo dall’inconscio collettivo, come viatico per continuare la strada della divulgazione e della sensibilizzazione delle coscienze. Come Saul brandiva la sua lancia, David suonava la sua arpa, affinché si placasse l’ ira funesta del re. L’intento dell’Ensemble Sinetempore sta proprio nel lenire dolori dell’anima di chi subisce la violenza e di chi agisce la violenza, attraverso la narrazione di storie che inducendo una identificazione con i personaggi, possa parallelamente consentire un effetto catartico.