POMERIGGIO

Difficile ripercorrere nella memoria una sensazione antica, evocativa di una leggera aria fresca estiva che accompagnava i preparativi del cambio di abiti per l’uscita pomeridiana.

Un profumo inebriante si diffondeva tra le stanze illuminate dal sole del tramonto.

Tanta cura nei dettagli più semplici e discreti per oltrepassare la soglia di casa: un momento speciale e unico. Quella percezione legata all’olfatto è ancora indelebile. Un ricordo fatto di immagini, ma soprattutto di odori, composti da tante particelle invisibili che si adagiavano sull’epidermide, penetrandola fin negli anfratti più profondi. È da quegli anfratti che la nostalgia riaffiora, come un soffio che accarezza la memoria. Accade più spesso in primavera e in estate, quando le finestre sono aperte e le tende si spostano sotto la spinta di un leggero vento che viene da ovest. Mi chiedo cosa avessero di speciale quelle uscite pomeridiane, quanto fossero diverse dalle uscite serali o mattutine. Forse, quel senso di appagamento che il pomeriggio porta con sé a differenza del mattino ancora assonnato o della sera affaticata dalla lunga giornata.

Si usciva di casa e il sole era lì con i suoi raggi lunghi a solleticare gli occhi per farli socchiudere, si scendevano le scale con attenzione, si oltrepassava il giardino e poi un breve vialetto che conduceva sulla strada. Da lì si procedeva verso la passeggiata, della quale ricordo solo la sensazione di fresco e di piacevole soddisfazione. Queste sensazioni sono la radice della felicità, che mi sembra di cogliere in certi momenti, ma sempre impalpabili e inafferrabili. Solo oggi riesco a scriverne, a distanza di tanti anni trascorsi a rivivere per microsecondi quelle sensazioni così scolpite nella memoria.

Tutto sembrava perfetto, in sincronica armonia con il respiro del Mondo.

Il respiro, mi ha sempre affascinato e mi divertiva, quando ero molto piccola, entrare nel respiro degli altri durante il sonno, seguendo lo stesso ritmo ascendente e discendente. L’apnea era il momento dell’attesa per entrare nell’inspirazione del dormiente di turno e, insieme, espirare. All’epoca non mi rendevo conto che così facendo rallentavo il mio respiro rendendolo più lungo e più profondo, inducendomi un rilassamento che probabilmente cercavo per addormentarmi a mia volta.

Un inconsapevole atto meditativo, ascoltando l’onda del respiro come un mantra.

Il mio desiderio di fare musica, nasceva in quella ricerca del tempo del respiro, ma senza trovare pienamente la possibilità di esaudirlo. Lo studio, della teoria e della pratica, del pianoforte, non mi consentiva di entrare nel battere e nel levare del respiro. Rimaneva estraneo quello strumento verticale dalle corde invisibili. Tant’è che i lunghi anni di studio mi hanno lasciato in apnea nell’attesa di trovare il momento giusto, per produrre la vibrazione cercata. È dovuto trascorrere molto tempo prima che incontrassi dentro di me lo strumento che meglio si accordasse con il mio respiro nella salita e nella discesa: l’Arpa.

L’arpa con tante corde visibili, da pizzicare direttamente senza tasti martellanti come intermediari. Il piano e il forte sono racchiusi nell’intensità delle vibrazioni delle note alte e basse, gravi e acute, chiare e scure. Chissà se quelle antiche sensazioni legate all’olfatto non fossero una linea guida da percorrere per ritrovarle trasformate nella musica. In fondo, l’olfatto e il respiro utilizzano gli stessi canali, come delle casse di risonanza, dove si modulano i tempi e ritmi dei suoni e delle vibrazioni.

Mi capita di suonare durante le ore del tramonto, quando la luce artificiale interna accresce il suo chiarore, lentamente, compensando quella esterna sempre più debole. Il tramonto è il momento della giornata in cui è più facile incontrare le emozioni nella luce tenue e tiepida del sole.

Il crepuscolo è spesso associato a momenti malinconici, nostalgici, quando il sole perde la sua energia e lasciarsi andare al ricordo è più facile. Arriva così la notte, tutto scompare, insieme al sole, e le ombre vengono risucchiate come fuoco liquido dalla terra.

Le corde vibrano, quelle più profonde scuotono l’anima che si risveglia, quelle più superficiali placano la coscienza che attende il risorgere del sole….e il pomeriggio.

La memoria tecnologica


Il 30 gennaio 2005, ho scritto quanto segue:
Negli archivi della memoria dell’uomo del terzo millennio troviamo sicuramente più numeri che parole. L’accesso alla tecnologia è consentito per lo più attraverso numeri  segreti     da memorizzare a  tutela della propria privacy. Si è arrivati ad un punto in cui  senza i codici numerici non si accende la vita, e vitale è ricordarli!
In passato le combinazioni di numeri riguardavano solo le casseforti  dal contenuto prezioso, oggi  le combinazioni di numeri sono necessarie per prelevare i soldi dal bancomat, per accedere al proprio computer, per accendere il telefono cellulare e  anche  per entrare in casa  dove la serratura non  serve più, se ci sono numeri da digitare.
A questo punto si potrebbe, affrettatamente, desumere che la memoria  diventi prodigiosa con questo allenamento quotidiano, eppure non è così.
Con maggiore  frequenza si dimenticano non solo i numeri, ma anche gli impegni di lavoro, gli appuntamenti dal dentista, i figli a scuola, le bollette da pagare, i compleanni  e  l’elenco potrebbe continuare all’infinito.

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