202……….1

Tra qualche giorno il 2020 chiude il sipario e si ritira, lasciando all’Umanità un carico di esperienze inimmaginabili, da elaborare e da metabolizzare per i prossimi anni. Il 2021 farà il suo ingresso ereditando lasciti complessi, sia da un punto di vista psicologico che fisico, ma, come ogni cosa che nasce, avrà la forza vitale in grado di supportare il carico inevaso ricevuto nel passaggio del confine cronologico. Ogni essere umano ha desiderato e immaginato, in questi mesi, di volare per andare oltre il tempo e la memoria, per proiettare l’esistenza in zona di sicurezza. Ora più che mai, però, è importante rimanere ancorati alle radici della Madre Terra per essere nutriti di certezze, per essere protetti con nuove consapevolezze, per essere contenuti come teneri germogli. L’archetipo della Grande Madre, quindi, sarà risvegliato dalla necessità di trovare strade per concepire nuova vita e giungere al riscatto di quanto è stato sottratto dalla pandemia.

Il neonato 2021 muoverà i suoi primi passi su terreni desertificati, bisognosi di essere risanati, riattivati e rigenerati con robuste semine. L’anno che verrà rappresenta l’inizio e ricomincia da Uno: l’essenza, la matrice dell’esistenza, la forza ritrovata per andare oltre.

Gestualità al tempo delle mascherine

Oggi, vorrei porre l’attenzione su un comportamento particolare, che negli ultimi tempi mi è capitato di osservare, da quando indossiamo le mascherine anti contagio, nelle relazioni con altre persone. Il popolo italiano è conosciuto nel mondo per la sua gestualità molto espressiva e significativa che accompagna il linguaggio verbale oltre a quello non verbale, tant’è che spesso ne è benevolmente stigmatizzato all’estero. La mia attenzione, però, riguarda in modo particolare la gestualità delle mani, quando si parla indossando la mascherina, che sembra essersi accentuata, quasi per colmare la difficoltà, forse più psicologica che reale, di esprimere al meglio il contenuto della propria comunicazione. Tutti sappiamo che attraverso un gesto possiamo esprimere tenerezza, aggressività o disappunto, ma nella necessità di essere distanziati e mascherati è presumibile che si stia attivando un nuovo linguaggio gestuale parallelo di sostegno a quello verbale.

Con i miei lettori e lettrici condivido la mia percezione e vorrei chiedere se nella loro esperienza ne hanno avuto riscontro. Forse, siamo testimoni di un cambiamento nella comunicazione che potrebbe far acquisire un nuovo vocabolario non verbale, in virtù di un’inibizione visiva di una parte viso, che attiva canali di comunicazione che usano il corpo, più di quanto già non avvenga.

Qual è la vostra esperienza?

Per qualunque vostra condivisione il mio spazio è a disposizione. Grazie

Sogno di una notte di mezza estate……….in casella

Continua il viaggio onirico, iniziato durante la quarantena obbligata dallo stato di emergenza per il  Covid19,  con la lettura dei sogni inviati nella casella riservata.  I lettori-onirici del mio sito anche nella fase post-quarantena  hanno condiviso i loro sogni e oggi  ritiriamo la posta per evaderla,  come sempre. I sogni sono sempre la cartina tornasole di una fase che l’umanità attraversa, sia a livello individuale sia collettivo. L’attività onirica è stata molto fiorente durante la quarantena, quando il corpo era bloccato, ma la psiche viaggiava nei meandri del mondo interiore,    mentre con la ripresa del movimento libero è sembrata,

POMERIGGIO

Difficile ripercorrere nella memoria una sensazione antica, evocativa di una leggera aria fresca estiva che accompagnava i preparativi del cambio di abiti per l’uscita pomeridiana.

Un profumo inebriante si diffondeva tra le stanze illuminate dal sole del tramonto.

Tanta cura nei dettagli più semplici e discreti per oltrepassare la soglia di casa: un momento speciale e unico. Quella percezione legata all’olfatto è ancora indelebile. Un ricordo fatto di immagini, ma soprattutto di odori, composti da tante particelle invisibili che si adagiavano sull’epidermide, penetrandola fin negli anfratti più profondi. È da quegli anfratti che la nostalgia riaffiora, come un soffio che accarezza la memoria. Accade più spesso in primavera e in estate, quando le finestre sono aperte e le tende si spostano sotto la spinta di un leggero vento che viene da ovest. Mi chiedo cosa avessero di speciale quelle uscite pomeridiane, quanto fossero diverse dalle uscite serali o mattutine. Forse, quel senso di appagamento che il pomeriggio porta con sé a differenza del mattino ancora assonnato o della sera affaticata dalla lunga giornata.

Si usciva di casa e il sole era lì con i suoi raggi lunghi a solleticare gli occhi per farli socchiudere, si scendevano le scale con attenzione, si oltrepassava il giardino e poi un breve vialetto che conduceva sulla strada. Da lì si procedeva verso la passeggiata, della quale ricordo solo la sensazione di fresco e di piacevole soddisfazione. Queste sensazioni sono la radice della felicità, che mi sembra di cogliere in certi momenti, ma sempre impalpabili e inafferrabili. Solo oggi riesco a scriverne, a distanza di tanti anni trascorsi a rivivere per microsecondi quelle sensazioni così scolpite nella memoria.

Tutto sembrava perfetto, in sincronica armonia con il respiro del Mondo.

Il respiro, mi ha sempre affascinato e mi divertiva, quando ero molto piccola, entrare nel respiro degli altri durante il sonno, seguendo lo stesso ritmo ascendente e discendente. L’apnea era il momento dell’attesa per entrare nell’inspirazione del dormiente di turno e, insieme, espirare. All’epoca non mi rendevo conto che così facendo rallentavo il mio respiro rendendolo più lungo e più profondo, inducendomi un rilassamento che probabilmente cercavo per addormentarmi a mia volta.

Un inconsapevole atto meditativo, ascoltando l’onda del respiro come un mantra.

Il mio desiderio di fare musica, nasceva in quella ricerca del tempo del respiro, ma senza trovare pienamente la possibilità di esaudirlo. Lo studio, della teoria e della pratica, del pianoforte, non mi consentiva di entrare nel battere e nel levare del respiro. Rimaneva estraneo quello strumento verticale dalle corde invisibili. Tant’è che i lunghi anni di studio mi hanno lasciato in apnea nell’attesa di trovare il momento giusto, per produrre la vibrazione cercata. È dovuto trascorrere molto tempo prima che incontrassi dentro di me lo strumento che meglio si accordasse con il mio respiro nella salita e nella discesa: l’Arpa.

L’arpa con tante corde visibili, da pizzicare direttamente senza tasti martellanti come intermediari. Il piano e il forte sono racchiusi nell’intensità delle vibrazioni delle note alte e basse, gravi e acute, chiare e scure. Chissà se quelle antiche sensazioni legate all’olfatto non fossero una linea guida da percorrere per ritrovarle trasformate nella musica. In fondo, l’olfatto e il respiro utilizzano gli stessi canali, come delle casse di risonanza, dove si modulano i tempi e ritmi dei suoni e delle vibrazioni.

Mi capita di suonare durante le ore del tramonto, quando la luce artificiale interna accresce il suo chiarore, lentamente, compensando quella esterna sempre più debole. Il tramonto è il momento della giornata in cui è più facile incontrare le emozioni nella luce tenue e tiepida del sole.

Il crepuscolo è spesso associato a momenti malinconici, nostalgici, quando il sole perde la sua energia e lasciarsi andare al ricordo è più facile. Arriva così la notte, tutto scompare, insieme al sole, e le ombre vengono risucchiate come fuoco liquido dalla terra.

Le corde vibrano, quelle più profonde scuotono l’anima che si risveglia, quelle più superficiali placano la coscienza che attende il risorgere del sole….e il pomeriggio.

Raccontami il sogno di questa notte!

Tra breve si uscirà dalla quarantena imposta dallo stato di emergenza per il Covid19, ma per lunghe settimane la vita quotidiana è rimasta sospesa, all’interno di una bolla protettiva intrisa di emozioni che hanno trovato nei sogni la loro espressione più significativa. L’attività onirica accompagna l’essere umano da sempre, sollecitando attenzione nel sognatore al punto di cercarne il significato. Il sogno è l’intangibile filo rosso dell’esistenza, ci accompagna da millenni nel ricordo e nell’oblio. In ogni epoca e in ogni Paese del mondo, il sogno ha avuto un posto di riguardo nella cultura dei popoli. Cos’è il sogno: è il guardiano del sonno, è la via regia per l’inconscio, è il messaggero degli dei, è l’inconscio che si esprime in forma simbolica? Da Artemidoro, che fu il primo a scriverne cercando una sistematizzazione, per arrivare, con un passo nella storia lunghissimo, a Sigmund Freud, il viaggio onirico è proseguito nel tempo affascinando, turbando ed emozionando i sognatori e le sognatrici di tutte le epoche.

Quante volte si vorrebbe che la realtà che si sta vivendo fosse solo sogno, al punto di svegliarsi al mattino e desiderare che l’oblio risucchi tutto dentro di sé? Viceversa, quante volte si vorrebbe che il sogno fosse realtà? Il confine tra sogno e realtà è un confine distinto, ma quanto mai labile. Il sogno è la nostra realtà notturna che fin dai tempi più remoti ha stimolato l’interesse degli esseri umani, insieme al desiderio di poterne trovare una chiave di lettura. In virtù di questa curiosità, ma soprattutto nella considerazione che dopo settimane di costrizione in casa e in previsione di una prossima uscita, l’attività onirica assume un ruolo ancora più interessante, ho pensato di aggiungere nel mio sito I SOGNI IN CASELLA. I sogni, in questo periodo ancora di più, riflettono il cambiamento profondo che ognuno di noi sta vivendo in conseguenza all’esperienza inimmaginabile prodotta dal pericolo del contagio del virus Covid19. Ci sono stati sogni, per esempio, in cui il pericolo del contagio era rappresentato dalla presenza di persone incuranti del virus, lasciando una sensazione di angoscia, oppure sogni in cui emergeva, nello spaesamento del momento, il bisogno di individuare una direzione per un luogo sicuro verso cui andare. Il sogno, come affermava Carl Gustav Jung, rappresenta una difesa psichica contro le impressioni esterne, quindi è anche un termometro della febbre dell’inconscio, che nessun termoscanner, tanto diffuso oggi, può misurare.

Chiunque vorrà inviare un sogno, potrà spedirlo attraverso I SOGNI IN CASELLA per condividere la sua vita onirica. Il sogno non sarà pubblicato, ma fornirà uno spunto di riflessione, insieme con tutti quelli che arriveranno, per attivare una narrazione onirica periodica. Nella psicologia del profondo, quando si lavora sui sogni, è importante il significato che il sognatore dà al proprio sogno, quindi, in un contesto virtuale e non psicoterapeutico, non è possibile interpretare un sogno in modo specifico. I contenuti e gli aspetti simbolici che emergeranno troveranno spazio all’interno degli articoli dedicati ai sogni, affinché si possa approfondire la comprensione di una parte di sé e accendere la luce della conoscenza.

Ponte virtuale per contatti reali

Tutti connessi per creare rete sociale virtuale! Che cosa è cambiato rispetto al periodo pre-virus? Le chat o i social prima erano una scelta, oggi sono una necessità obbligata! Il virus sta consentendo di capire il significato di internet per come non si era mai capito in passato. In tutte le professioni, compresa quella psicoterapeutica, si sono attivati ponti virtuali per esser vicini ai propri utenti. In un momento così socialmente complesso da un punto di vista emotivo, potersi convertire in modalità digitale e mantenere la continuità del lavoro psicoterapeutico o di sostegno psicologico, a chi può averne necessità, è una grande risorsa. La solitudine della psiche e l’isolamento sociale possono produrre stati d’ansia o depressivi che è importante tradurre in parole significative, per evitare il ristagno di pensieri prosciuganti linfa vitale. In queste settimane si è passati dall’osservazione esterna della progressione geografica del virus, all’allerta che si è trasformata in allarme. Ora c’è lo stato di quarantena, che dovrebbe poter risolvere, come è già accaduto per tutte le pandemie nei secoli scorsi, lo stato di emergenza. Una riflessione, che già in altre situazioni ho espresso (Psiche e cuore senza confini, www.lapelle.it), riguarda la considerazione che se si desidera al più presto un DOPO-VIRUS, o come avrebbero detto i latini un POST-VIRUS, si deve poter agire uno STOP a tutto ciò che rientra nello stile di vita precedente al rischio di contagio. L’anagramma di POST è STOP, quindi, nella capacità di riuscire a fermarsi è racchiusa la soluzione al problema virus, per poter di nuovo riprendere le attività quotidiane di sempre. Sicuramente, modificare abitudini consolidate non è semplice, però confidare nella capacità di adattamento, che ha sempre caratterizzato l’essere umano nella sua esistenza millenaria, è scoprire di avere un bagaglio nella radice della psiche di esperienze pregresse cui poter attingere. Ciò che è complesso non è impossibile, la resistenza di uno è la resistenza di tutti per poter arginare le conseguenze della pandemia. Ora, Invece di guardare fuori dalla finestra con paura o insofferenza, proviamo a cercare un raggio di sole, un antidepressivo naturale, che prima o poi con sorpresa entrerà a scaldare i cuori e l’anima, insieme alla Primavera!

8 MARZO, un giorno da vivere!

Cos’è l’8 marzo? Una  festa, una  celebrazione, una  ricorrenza, una commemorazione,  un  ricordo,  un giorno della memoria ….? Ogni anno, quando il calendario arriva alla pagina dell’8 marzo, si avverte una incertezza su come definire la giornata dedicata alle donne.

In passato era sicuramente una festa, quando le donne non erano abituate a festeggiare se stesse o comunque a porsi in evidenza con un giorno dedicato a sé. Tra l’altro, l’8 marzo divenne la giornata delle donne perché ricordava lavoratrici morte nell’ incendio della loro fabbrica all’inizio del secolo scorso, per cui era ed è anche una ricorrenza.  Negli ultimi anni, quindi, le definizioni spaziano tra festa e ricorrenza, ma   sempre di più sta diventando un giorno dedicato agli anniversari delle tante donne uccise nel loro libero esercizio del dovere di vivere!  Sul mio sito sirasebstianelli.it nella pagina dedicata al blog-magazine Third life, ho pubblicato negli anni delle riflessioni sull’ 8 marzo, ponendo l’8 prima tra parentesi (marzo 2013) e poi con un apostrofo (marzo 2015), segno di elisione della vita. L’8 marzo dovrebbe essere un giorno dedicato alla vita delle donne, lasciando che i riflettori siano puntati sulla strada percorsa e su quella da percorrere, nella consapevolezza, però, che più si farà luce più si noteranno le mancanze, buchi neri in cui sono precipitate donne risucchiate dalla furia assassina di chi elimina ciò che non può possedere. Proprio per questo, il Progetto Itinerante, da me ideato e promosso, “Un’ Àncora per non dire più Ancòra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, dopo aver attraversato diverse città dell’Italia e della Svizzera, continuerà prossimamente il suo cammino per portare avanti la narrazione della vita di tante donne, la cui storia terrena si è interrotta, ma quella spirituale continua, attraverso antiche ballate accompagnate dalle arpe e dalle voci dell’Ensemble Sinetempore Harp Attack. L’Ensemble esegue  brani musicali tratti dal canzoniere popolare italiano, le cui tematiche vertono sulle vessazioni, mortificazioni e violenze che le donne hanno subito nei secoli. Le storie popolari, tramandate nel tempo e tradotte in ballate musicali, sono un esempio di come sia possibile stimolare riflessioni coniugando psicologia, musica e valore della vita. Una narrazione antica, declinata al presente, per avviare un percorso  che affonda le proprie radici nell’immaginario  archetipico dell’umanità.

La scelta dello strumento dell’arpa non è casuale, in quanto le corde di cui è composta producono vibrazioni che meglio di altri strumenti entrano in risonanza con le emozioni, attivando canali di comunicazione più efficaci di tante parole.

Per l’8 marzo, a tutte le donne, non si può che rinnovare l’augurio nel senso antico di augurium, cioè presagio favorevole, per un futuro di crescita e di accrescimento.

Tra scienza e fantascienza: quando il gioco diventa realtà!

Nel 2005 l’incidente del Corrupted Blood, sangue corrotto, causato da un problema tecnico creatosi all’interno di un gioco virtuale chiamato World of Warcraft, sembra aver anticipato tutte le problematiche pratiche e psicologiche evidenziate dal virus Corona, che in questi mesi si è andato diffondendo attraverso il contagio, in prima battuta da animale a essere umano e poi da essere umano a essere umano.

L’epidemia virtuale all’interno di World of Warcraft fu scatenata dall’introduzione volontaria nel gioco di un effetto negativo, denominato debuff, le cui conseguenze, tra gli avatar dei giocatori (reali), sfuggirono di mano, al punto di causare la diffusione di un virus che dagli animali, sempre virtuali, dei cacciatori e dei demoni stregoni, si trasmetteva ai giocatori. La pandemia danneggiò i giocatori del livello più alto (forti) e uccise quelli del livello più basso (deboli), al punto che da quel momento in poi i comportamenti dei partecipanti al gioco iniziarono a sovrapporre il virtuale con il reale. Il contagio si trasmetteva in modo esponenziale, nessuno se ne poteva sentire al riparo, ma ci fu chi, avendo poteri curativi, cercava di aiutare a guarire i malati, chi ne approfittava per eliminare concorrenti pericolosi e chi invece si nascondeva nei luoghi più remoti, aspettando che si arrivasse a una risoluzione della pandemia.

L’evento del sangue corrotto negli anni è stato studiato per la sua singolarità, legata sia alla diffusione imprevedibile del bug e sia alle reazioni dei giocatori che offrivano una simulazione molto reale di quanto sarebbe potuto accadere. Oggi, il corona virus ha trascinato la simulazione nella realtà più drammatica. Paura, diffidenza, allarme, bisogno di cercare barriere anche inutili per difendersi dal nemico invisibile, hanno attraversato lo schermo del virtuale e si sono collocate nella vita reale. Nelle situazioni di pericolo si manifestano meccanismi di difesa messi in atto da ogni essere umano per salvarsi, per evitare di soccombere, in questo caso, al contagio, producendo comportamenti che lasciano sempre uno spazio alla imprevedibilità. La soluzione alle epidemie contemporanee, come anche in quelle virtuali, è la stessa che nei secoli è stata applicata dalle comunità contagiate da malattie delle tipologie più varie, cioè la quarantena! La quarantena non è solo l’isolamento delle persone, delle città e delle nazioni infette, ma il numero dei giorni per giungere al compimento di un ciclo e prepararsi a un cambiamento radicale. Il tempo della quarantena è quasi un periodo di prova per chi la subisce oltre a essere associata a un castigo, come nel racconto biblico del Diluvio Universale. L’evento del Corrupted Blood si verificò il 13 settembre del 2005 e si tentò di risolvere anch’esso con una quarantena che cercò, anche se insufficientemente, di chiudere il gioco per poter “purificare” il meccanismo infetto. Incredibilmente, il numero 13 è associato al 40, condividendo gli stessi significati, di morte simbolica, di prova iniziatica e di trapasso che permette la seconda nascita, la nascita spirituale. (Morel, C., Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Giunti Editore, Firenze,2006). Un filo rosso che congiungeva il giorno in cui si sarebbe scatenato il contagio con la sua soluzione, cioè la quarantena. La quarantena, va rispettata nel virtuale, ma soprattutto nel reale, perché nel mondo reale si ammalano e muoiono le persone, mentre nel mondo virtuale muoiono gli avatar, programmati per rinascere. Gli esseri umani possono rinascere soltanto simbolicamente a nuova vita e la speranza è che la quarantena, in cui oggi il mondo è confinato, serva realmente a questo.