Concerto per l’Ombra

CONCERTO PER L’OMBRA

 

La possibilità di assistere a un concerto in un   carcere è un’esperienza che travalica qualunque aspettativa. Quando si  ascolta un concerto in un auditorium o in un teatro, ci si trova immersi in un’atmosfera suggestiva, che consente di sprofondare nella rete pentagrammata che la composizione eseguita consente, per lasciarsi  andare alla leggerezza della musica, ipotizzando che le stesse sensazioni possano essere riproducibili in qualunque situazione analoga, ma non è così!   Il luogo in cui si svolge un concerto ha la sua peculiarità,  che ne caratterizza il senso e la finalità. Se, infatti,  il luogo è un carcere e   gli spettatori sono detenuti,  la musica assume un valore indescrivibile.  Le regole cambiano, non si entra con un biglietto, ma con un permesso e gli spettatori  non entrano  come capita un po’ alla volta, ma tutti insieme, come un nucleo uniforme senza identità e senza individualità.  Un nucleo  di energia compressa e blindata, affinché possa depotenziarsi attraverso la contenzione al di là del contenimento.   Il piccolo popolo tra le sbarre evoca il piccolo popolo che abitata in ognuno di noi e che chiede di essere ascoltato, accolto e  decodificato per essere tradotto nella luce della coscienza e  renderlo comprensibile  nel suo significato.  L’ombra lunga della colpa  cela il tormento  di una vita  che stenta a trovare un suo centro intorno a cui edificare progetti e desideri, invece di  azzardo e trasgressioni.  L’incontro con il piccolo popolo, che dall’immaginario collettivo entra nella realtà individuale,  ha un effetto dirompente che esplode in un’emozione che apre varchi tra sbarre e recinti fino ad arrivare al cuore di ognuno.   La musica   fa dileguare  per un attimo l’ombra dell’umanità per lasciare il posto a un raggio di luce  che si fa strada tra le lacrime che furtivamente si asciugano, ma che lasciano un segno. Il concerto per l’Ombra, archetipo che si attiva nei momenti più bui della coscienza e dirompe improvvisamente, è un evento paradossale, perché la musica è espressione della massima creatività dell’essere umano frutto dell’integrazione degli opposti, mentre l’ombra è rappresentativa della più profonda scissione della coscienza dai suoi  aspetti più oscuri. Il paradosso musicale per l’ombra, però,  sintetizza quanto un luogo di detenzione si prefigge e, cioè, restituire  al detenuto una nuova individualità  consentendo una congiunzione degli opposti, affinché la consapevolezza diventi guida per la costruzione  di una coscienza di sé e delle proprie potenzialità da sviluppare al servizio della  costruttività.  La chiave musicale è una chiave universale che consente di accedere a un’esistenza autentica in un percorso individuativo,  in cui dare senso alla propria vita  al di là del Bene e del Male.

 

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

Stelle Cadenti

STELLE CADENTI

 

In questi giorni  il cielo della notte dovrebbe essere attraversato da scie luminose causate  da frammenti di meteore  incandescenti, chiamate stelle cadenti.  Se si scruta il cielo, lontano dall’inquinamento luminoso delle città, si dovrebbe poter assistere allo spettacolo  naturale di pioggia di piccoli fuochi,  esprimendo un desiderio, almeno questa è la tradizione. Quando si parla di desideri, in genere, la lista sembra essere lunghissima,  al punto di non sapere a quale di essi dare la precedenza. È il  pensiero magico-animistico, legato all’infanzia, che induce persone adulte a credere a questi eventi propiziatori, affinché possano  favorire la realizzazione  di un desiderio,  regalando  l’illusione di un attimo di onnipotenza.   In fondo, perché non provare, al limite non succede niente!

Accade, anche, di incontrare persone che hanno smesso di desiderare, senza esserne consapevoli, rimanendo interdette di fronte alla richiesta di un desiderio.  Un desiderio non si risolve soltanto nell’improponibile aspirazione a vincere milioni di euro o trovare l’amore della vita, un desiderio può essere la spinta a superare le proprie paure per realizzare un progetto, per raggiungere un obiettivo e  oltrepassare la soglia del limite che impedisce di trovare se stessi.  Più spesso si attende che qualcosa accada, senza che un desiderio abbia creato un varco per avviare un percorso, rendendo vana l’attesa. Forse, c’è sempre stato un equivoco di fondo che ha lasciato confondere  il significato di desiderio con qualcosa  di effimero e quindi  distraente rispetto alla necessaria fatica per arrivare alla meta  prefissa.

Senza voli pindarici, un desiderio può attivare un’azione utile per costruire  l’impalcatura che consente di lavorare intorno alla propria opera, investendo, comunque, energia psico-fisica, perché non c’è bacchetta magica che realizzi  desideri, se non quella della perseveranza e della lungimiranza. In realtà, la differenza tra vivere e sopravvivere sta proprio nella capacità di desiderare e si dovrebbe essere nella condizione psicologica di poter sempre desiderare, anche quando  si è più inclini alla paura di incorrere in una disillusione, soprattutto  in età in cui si può avere la sensazione di avere realizzato tutto sentendosi sazi o meglio ancora stanchi, senza energie.

Quale miglior ricostituente o integratore, allora, può essere il desiderio di continuare a cercare se stessi  seguendo la strada più adatta  per plasmare l’ opera della vita,  attivando l’artista interno che cura ogni male consentendo di poter recitare insieme a  Cicerone   “opera desiderat tempus et animum vacuum ab omni cura” (l’opera  necessita  di tempo e di animo libero da ogni  preoccupazione)!

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

 

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA DI HOKKAIDO

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA   DI   HOKKAIDO

 

 

Cosa avrebbe pensato il regista giapponese Akira Kurosawa dell’abbandono nella foresta di un bambino  di sette anni da parte dei genitori che volevano punirlo per aver tirato sassi  ad automobili di passaggio?

Ovviamente, è un episodio deplorevole che ha messo a repentaglio la vita di un bambino che non trova nessuna giustificazione, ma  l’evento mi ha riportato alla memoria il  film Sogni del regista Kurosawa. Nel film c’è un episodio onirico “Il sole attraverso la pioggia” in cui  una madre dice a suo figlio che in quel giorno di sole e di pioggia le volpi celebrano il loro matrimonio e nessuno può vederle, quindi invita il piccolo bambino a non andare nel bosco. Naturalmente il divieto ha scatenato la curiosità del bambino che assiste alla processione celebrativa delle volpi. Al suo ritorno a casa trova sua madre che lo aspetta sulla soglia della porta, con in mano un oggetto che per lui  hanno lasciato le volpi: un coltello!  La madre esorta il figlio ad andare a chiedere perdono alle volpi  con “fronte a terra e mani giunte”, nella speranza che gli venga concesso, e chiude la porta di casa, lasciandolo solo a decidere della sua vita: perdono o suicidio, cioè karakiri!. Il bambino si avvia verso la casa delle volpi  ai piedi  dell’arcobaleno che nei giorni  in cui il sole e la pioggia si sposano, si manifesta nelle sua maestosità. L’episodio termina con il bambino che con coraggio si avvia, anche se il suo  cuore è  pieno di paura e  se otterrà il perdono non è dato saperlo. Quanto è accaduto al bambino giapponese abbandonato, realmente, nel bosco dai suoi genitori per punizione e ritrovato miracolosamente vivo, ricorda molto il bambino lasciato al suo destino per aver trasgredito un divieto. Evidentemente, il film di Kurosawa narra di paure  oniriche che  affondano le radici nell’inconscio  collettivo e si palesano in tutta la loro drammaticità, affinché se ne possa trovare una catarsi. “La realtà onirica di Sogni  si apre infatti a una visione dell’inconscio che non è solo personale, ma che radica le sue immagini nel fondo collettivo della psiche”. Carotenuto,A. Jung e la Cultura del  XX Secolo,Milano,Bompiani,1995 pag.122,123.

La riflessione indotta dall’abbandono del bambino nella realtà e nell’immaginario  collettivo  ci pone a una distanza più ravvicinata dall’evento accaduto in Giappone, nella speranza che non si  archivi l’episodio come pura follia di quei  genitori, sentendosi estranei a scelte punitive così tragiche.  La trasgressione va di certo stigmatizzata a fini pedagogici, ma le conseguenze circa la punizione che si infligge  va ponderata, perché, se supera la soglia della paura, potrebbe lasciare tracce indelebili. È vero che  il film è  di un regista giapponese e l’episodio è avvenuto in Giappone, ma l’Oriente,  nel  mistero a volte impenetrabile della sua cultura,  ci  risveglia, anche tragicamente,  ad una riconsiderazione della vita e dei suoi valori,  dati troppo spesso per acquisiti. Forse, le volpi del film insegnano che il perdono esiste  come opposto alla punizione  estrema, e che il bambino giapponese sia stato salvato proprio da loro, in attesa che l’umanità rinsavisca e  vada ai piedi dell’arcobaleno a chiedere perdono.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

29 FEBBRAIO

29 FEBBRAIO

 

29 febbraio, un giorno che torna  ogni quattro anni, quindi rappresenta un evento da vivere consapevoli della sua rarità.

Febbraio, dal latino februarius, ovvero mese delle fumigazioni  atte a purificare, è, quindi, associato al fuoco del sacrificio di cerimonie sacre, che hanno caratterizzato la storia dell’umanità con diversi significati e finalità. Rilievo sembra essere dato al fumo prodotto dal fuoco, che può diffondere profumi  di essenze inebrianti, ma anche  rendere nebbioso l’orizzonte, impedendo la visuale. Sembra quasi che dipenda da noi quale uso farne di questo giorno speciale di  un  mese variabile.

Diradare la nebbia che, a volte, impedisce di vedere la strada da percorrere,   potrebbe aiutare a vivere con più leggerezza l’esistenza, lasciando che il fuoco riscaldi   e sciolga  l’ultimo ghiaccio dell’inverno, diffondendo nell’aria  purificanti  vapori.

Invocare la luce è il significato della radice indoeuropea, dhu, da cui discende il termine latino februaruis,  e il fuoco diffonde la luce  che consente di diradare il buio dell’inconsapevolezza, illuminando la coscienza che abita in ogni essere umano, affinché  si possa vivere e non sopravvivere.   

(I riferimenti etimologici del testo sono tratti dal Dizionario Indoeuropeo di F.Rendich, Palombi editore,2010)

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

ONDE GRAVITAZIONALI

 

 

Onde Gravitazionali

Una nuova finestra si è aperta sull’universo che consente di vedere oltre la siepe della conoscenza. Antenne americane ed europee hanno rilevato segnali che  confermano quanto aveva anticipato e ipotizzato lo scienziato Albert Einstein, circa l’esistenza delle onde gravitazionali trasmesse dallo scontro di  buchi neri che  abitano l’universo.  Quanto accade nella scienza non può non interessare la psicologia, poiché  ogni scoperta può avere risvolti  interessanti nella evoluzione dell’umanità.  Del resto, quanto ieri era solo  fantascienza, oggi, diventa sempre più realtà.  La stazione spaziale, per esempio,   orbitante intorno alla Terra, che ospita astronauti e astronaute, ormai, è un avamposto cosmico stabile e sempre più realistica  sembra essere la possibilità del viaggio umano su Marte.

Sui buchi neri, per tornare alla rilevazione delle onde,  si sa ben poco e molto si è ipotizzato e fantasticato. Non a caso, infatti,  quando  intendiamo sottolineare una situazione senza poterne prevedere i contorni  o l’entità della portata delle conseguenze, utilizziamo l’espressione “buco nero”.  Un buco nel quale si entra e non si può prevedere cosa ci può essere dentro e come se ne potrebbe uscire.   Un po’ come entrare in fasi della vita in cui non si riesce a intravedere nulla e si è completamente disorientati, finché  un’antenna interna non percepisca l’onda  prodotta dal disagio psichico, che impone  la ricerca di un raggio di luce nel buio in cui si è immersi.  Sembra un ossimoro affermare che un buco nero aiuti a far luce nell’universo fuori di noi e dentro di noi, ma  se si producono onde, forse, può significare che esiste una cassa di risonanza dove vibrano particelle di vita che risvegliano a nuova vita.

 

Sira Sebastianelli

IL GIUBILEO DELL’ARTE

Questo articolo è stato pubblicato nel n.29/2015   della rivista Urbis et Artis e, in occasione della giornata inaugurale del Giubileo 2015, ripropongo per i lettori di Thirdlife.it

 

IL GIUBILEO DELL’ARTE

8 dicembre 2015, inizio del  Giubileo straordinario, indetto da Papa Francesco. In anticipo di  dieci anni  si aprono le Porte Sante  per consentire  il passaggio del sacro soglio a  milioni di persone. Un evento spirituale che coinvolge il mondo cattolico, ma che scuote le coscienze di tutti, perché  il Giubileo è l’anno dell’ indulgenza, della remissione dei peccati e della purificazione dell’anima.   Gli uomini e le donne sono chiamati a un bilancio della propria esistenza, attraverso un atto introspettivo e meditativo. Non a caso nel mondo ebraico, dove  ebbe inizio   il Giubileo, l’anno giubilare prevedeva la sospensione del lavoro  per vivere dei frutti spontanei della terra,  in contatto diretto con la Natura.  Oggi sarebbe difficile sospendere il lavoro, ma vivere  con maggiore consapevolezza a stretto contatto con il mondo della Natura dovrebbe essere possibile. 

L’Arte può segnare la strada  per percorrere questo anno santo alla ricerca della  spiritualità, per elevare gli animi  e alleggerirli  dei carichi pesanti della fatica di vivere.  Il sentiero dell’ Arte, che ognuno di noi può conoscere seguendo la forma espressiva più congeniale a sé,  consente di trovare o di ritrovare la propria autenticità, unica condizione per  intraprendere il cammino della consapevolezza.

Ritornare al centro per ripartire dal centro, simbolicamente  rappresentato dal  pellegrinaggio verso la Basilica di San Pietro, centro della Cristianità, dove il pellegrino  giunge appesantito da catene  ingombranti  e  da dove riparte alleggerito e liberato da ogni schiavitù.

 L’anno giubilare inizialmente ricorreva ogni 100 anni, poi  alcuni  Papi lo hanno anticipato a 50 e a 25 anni, ritenendo, forse, di consentire a più generazioni l’accesso alla remissione dei peccati. Da qui si può desumere che, oggi. non si potevano aspettare altri dieci anni per il Giubileo  e quindi per la redenzione dell’anima, perché l’umanità   sta perdendo il senso della vita e del suo valore intrinseco.  Il soffio vitale che accompagna l’essere umano fin dalla nascita, è depotenziato dalla rabbia, dall’insoddisfazione, dalle ingiustizie  che inaspriscono gli animi al punto di legittimare qualunque azione, spesso distruttiva e mortifera,  finalizzata alla rivendicazione dei propri  “diritti”.  Una conversione di tendenza è possibile solo se si riprende in mano la propria esistenza  oltrepassando la soglia delle paludi  mortifere della negatività, per accedere alla dimensione  salvifica della creatività.  Qui l’arte  tende una mano forte e coraggiosa per sostenere la purificazione dell’anima, al  di là del credo religioso, perché  i luoghi dell’arte sono anche i luoghi dello spirito e dell’anima  e  qualunque produzione artistica non sarebbe possibile senza l’ascolto di sé nella consapevolezza di sé.

Arte, spiritualità, anima, natura, quindi,  costellano un universo  di tematiche su cui poter riflettere per un tempo infinito, ma  che riconducono sempre e comunque all’essere umano e al suo Giubileo.

          Sira Sebastianelli

Il popolo dei carrelli e dei passeggini


 

A chi non è capitato di vedere persone  con dei carrelli della spesa o dei passeggini per bambini, fermi davanti ai cassonetti dell’immondizia intenti a cercare cibo ancora commestibile oppure oggetti da riutilizzare o rivendere?

Qualche anno fa i clienti del cassonetto erano sporadici, oggi sono sempre più frequenti  e sempre più diversificati.

Oggi il popolo  dei bisognosi non è più quello che il nostro immaginario collettivo vestiva con abiti consunti o rattoppati, oggi  il popolo dei bisognosi  attraversa trasversalmente la nostra società, ad esso appartiene chi non trova più risorse per sostenere se stesso  e non è più riconoscibile dalle toppe sui vestiti.

Ricordo un film, di qualche decennio fa, in cui Vittorio De Sica interpretava un personaggio   la cui povertà  lo costringeva a coprire una toppa, o una lacerazione del tessuto, sui suoi pantaloni con un giornale, per non mostrare la sua indigenza  e non  perdere la sua dignità. La  “toppa” differenzia la povertà ritratta nel film  neorealista  da  quella di oggi,  perchè  nella  società contemporanea  non c’è più bisogno di arrivare al buco da consunzione per essere poveri.

Il popolo dei cassonetti, infatti, è rappresentato dal rom, dal pensionato, dal disoccupato, da chi ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese con il proprio  stipendio, dal senza tetto o  dall’immigrato clandestino.

L’espressione “….è caduto in disgrazia”   per indicare qualcuno che aveva perso lo  status sociale a cui apparteneva, attualmente non è più usata, forse perché non  è necessario arrivare a perdere la grazia e quindi essere “senza grazia” per  impoverire. L’uso del carrello  per il cassonetto,  offre l’immagine di persone che si muovono  alla ricerca sistematica, quasi organizzata, di qualcosa di utile, come andare a fare la spesa in un supermercato. L’uso del passeggino, invece, sollecita l’immagine, più inquietante,  della ricerca  di cibo per un bambino che si spera non sia il destinatario  di quanto verrà trovato.

L’infoltirsi di questo popolo sollecita delle riflessioni su quanto l’impoverimento possa riguardare  principalmente lo stato d’animo dell’essere umano, in questi tempi  in cui  il nutrimento  culturale  è sempre meno ricco di  stimoli  che possano attivare un rinnovamento costante  della creatività  e   produrre  idee.  Tant’è che   non tutti gli esseri umani riescono a tenere vivo dentro  se stessi il fuoco salvifico della progettualità,  lasciandosi andare  alla passività  e al pessimismo.

Questi uomini e queste donne  dei carrelli e dei passeggini  forse hanno la  sensazione   che la Terra, invece di compiere il  proprio moto di rotazione intorno all’asse terrestre, si sia aggrappata ad esso per non cadere nell’oblio dell’universo, così come loro  stessi  si aggrappano alla  speranza di trovare tra i rifiuti qualcosa  di inutile per gli altri, ma  di utile per sé, scavando nei luoghi dell’oblio dell’umanità.

Paradossalmente,   più scavano e più cercano inconsapevolmente di salvare se stessi dall’oblio, attraverso il riciclaggio di ciò che trovano.

Nei film di carattere poliziesco  per lo più americani, spesso gli investigatori cercano tra i rifiuti dell’abitazione, dove si è consumato un delitto, elementi  che possano aiutare le indagini e spesso giungono a  considerazioni relative allo stile di vita della vittima. A questo punto ci si potrebbe chiedere  a quali considerazioni  giunga  l’esercito  di uomini e di donne che fruga   nei cassonetti  nei confronti degli  abitanti di una  zona della città. Il cassonetto, per esempio, potrebbe essere utilizzato per liberarsi fisicamente di ricordi (fotografie, lettere, oggetti, etc.),  di fardelli colmi del frutto di un lavoro scaduto, di  libri mai letti o mai scritti,  e allora ci si chiede:  quante porzioni di vita   si  troveranno tra i rifiuti,  appartenute  a  chi  ha creduto  di potersene   liberare  con un  “semplice  gesto sversante”?

Il popolo dei carrelli ci conduce a   cercare lì, dove nessuno cercherebbe mai, e cioè in fondo alla nostra coscienza, per comprendere   quanto a volte  ci si separi da  dolorosi contenuti dell’esistenza,  senza una  adeguata  elaborazione, al punto di  vederli   tornare rianimati  ed infliggere ancora sofferenza. In fondo, questo piccolo popolo scava nelle nostre coscienze insegnandoci a capire che  forse dovremmo essere più attenti   a quel segmento di vita da cui ci stiamo separando, senza  un intimo convincimento.

Separarsi dal vecchio è necessario per poter fare spazio al nuovo, ma il trasloco, emotivo ed affettivo,  deve avvenire alla luce della consapevolezza, altrimenti tutto riaffiorerà sotto nuova forma, ma immutato, grazie al piccolo popolo.

Sabbia:singolare plurale

SABBIA: singolare plurale

Quando arriva l’estate si pensa al mare e quasi mai alla sabbia. Eppure la sabbia è strettamente correlata al mare, anche dove ci sono scogliere, a guardare bene, sul fondo c’è sempre sabbia. Già, in fondo c’è sempre sabbia!

La sabbia è composta di granelli dalle dimensioni infinitesimali e inquantificabili, capaci di sommarsi formando dune alte come grattacieli  sulle terre desertificate.   Elemento  con il quale si possono disegnare immagini o scolpire figure che hanno però il   destino comune della impermanenza, cioè della  transitorietà.

Il contatto con la sabbia avviene inizialmente con i piedi nudi che affondano nella sabbia soffice, morbida, lasciando impronte destinate a scomparire con la risacca del mare o con il soffio del vento.  I granelli sembrano in balia del mare o del vento trasportati senza nessuna resistenza, ma che possono  cambiare il panorama e l’orizzonte, essendo dotati di una massa  che può fare la differenza.  Solida e liquida nello stesso tempo, la sabbia,  singolare  plurale, è come il pensiero,  contenitore unico   di innumerevoli  granelli- pensieri. Sia i granelli di sabbia che i pensieri  possono fluire e rincorrersi con leggerezza o aggregarsi,  diventando macigni che ostruiscono il  passaggio per qualunque possibilità di scambio   comunicativo  tra  la profondità e la superficie.     Quanti pensieri, infatti, inseguiamo nell’arco di una sola giornata, quanti passano, come schegge velocissime, senza poterli approfondire e quanti  sembrano indelebili, trasformandosi in rumori di fondo come le “famose” vuvuzelas?

La sabbia è la terra del mare,  che accoglie, avvolge e contiene, ma può anche essere abrasiva e ferire. Torna, così, il parallelismo con il pensiero e i suoi infiniti granelli  formati da contenuti psichici  portatori di gioie e di dolori. Inutile liberarsene, i pensieri si insinuano negli interstizi della memoria come i granelli  di sabbia si insinuano nella trama  e nell’ordito dei tessuti.    Accogliamo, allora, i pensieri e i granelli di sabbia,  come  elementi evocativi  di  ricordi  ed  emozioni di un  periodo  della nostra vita che nessuna rimozione può far  precipitare nell’oblio, perché siamo consapevoli che in fondo e nel fondo del mare dell’inconscio c’è comunque sabbia!