Un giorno in più, il 29 febbraio, per l’equilibrio del tempo!

Il mese di febbraio sta per concludersi, ma ci regala un giorno in più. Il 29 febbraio ricorre ogni quattro anni nell’anno denominato bisestile. In genere l’anno bisestile è associato all’idea che sia un anno nefasto! Certo, quanto sta accadendo in questi giorni sembrerebbe non smentire la nomea. Come fare per uscire da una profezia che sembra autodeterminarsi? In genere, tutto ciò che si presenta come un’anomalia induce sospetto, perché non rientra tra gli accadimenti prevedibili, ma ciò che ritorna ogni quattro anni, a chiudere un ciclo che si perpetua nei secoli, non dovrebbe rappresentare un evento negativo, eppure l’alone inquietante continua a esserci. Il 29 febbraio, un giorno di compensazione che riporta in equilibrio la misura del tempo geo-astronomico, per cui dovrebbe essere percepito come il giorno in cui si chiude il cerchio, simbolo, tra l’altro, del tempo. Il cerchio evoca il movimento, come la ruota del tempo che gira instancabilmente, insieme all’Universo e alla Terra. Il 29 febbraio, quindi, è un giorno che chiude un ciclo, affinché se ne apra un altro, offrendo quell’attimo di riflessione in più, che consente di fermarsi e di riprendere il cammino nell’esistenza, con maggiore consapevolezza. Tempo, equilibrio, consapevolezza, parole chiave per attraversare la vita e accompagnarla nella sua evoluzione, dando, così, un significato diverso al 29 febbraio, il giorno in più!

Incubo, dal sogno alla realtà!

Nell’ultimo articolo “ANGELI, barriere piumate dell’esistenza” pubblicato su questo sito, ho avviato una riflessione sugli Angeli e ringrazio coloro che hanno lasciato un commento, sottolineando l’opportunità per approfondirne il significato simbolico, oltre a segnalarne l’uso e l’abuso che si fa a volte di questa immagine. In questi giorni probabilmente saranno molte le persone che si affidano a Entità Supreme per scongiurare il pericolo di essere contagiati dal Virus denominato Corona, considerando che vere e proprie possibilità di prevenzione non ce ne sono, se non quelle dettate dal buon senso.

L’incubo di un ipotetico contagio serpeggia tra le persone, che tentano di difendersi costruendo barriere fisiche ed evitando presumibili luoghi più a rischio. In questi casi, ognuno attiva i meccanismi di difesa psichici che ritiene utili, dall’evitamento alla negazione, dalla rimozione alla proiezione, pur di arginare la paura. L’incubo è un termine che in genere si riferisce al sogno che ci risveglia nel bel mezzo della notte, producendo sollievo per aver interrotto una sequenza di eventi insostenibili. La psicoanalista svizzera Marie-Louise von Franz nel testo “Il Mondo dei Sogni”, definiva l’incubo come l’elettroshock della coscienza, intendendo il risveglio forzato come uno scuotimento da parte dell’inconscio, per non lasciare che qualche contenuto importante, per la propria esistenza, varcasse la soglia dell’oblio. Il virus sta producendo uguale effetto, scuote le coscienze affinché prendano atto di quanto eventi reali stiano attraversando il confine della fantascienza, materializzandosi in pericoli per l’umanità. L’invasione di esseri invisibili, che sembrano delle proiezioni della parte Ombra dell’inconscio collettivo, producono distruzione sul pianeta Terra, colpendo la parte vitale dell’umanità, con potenziale rischio per la specie. Scenario catastrofico che può e deve essere evitato, risvegliando le coscienze alla riconsiderazione delle priorità dell’esistenza, per attivare, come affermavo nel precedente articolo sugli Angeli, la funzione salvifica che ognuno porta dentro di sé per proteggere se stesso e gli altri, attivando una ripartenza individuale in compagnia dell’umanità come suggerisce il filosofo francese Alain Badiou.

“L’incubo serve a risvegliare. L’incubo è caratterizzato dall’urgenza, come se l’inconscio dicesse ‘Guarda qui, questo problema è urgente’.” (M.L., von Franz, Il mondo dei sogni. Il simbolismo onirico nella psicologia junghiana, ed.TEA, Milano, 1996, pag.96)

ANGELI, barriere piumate dell’esistenza!

In questi ultimi tempi assistiamo a un’invasione di esseri alati che con i loro arti piumati rompono l’aria, emanando un soffio vitale negli animi umani. Il messaggero di Dio sembra sia tornato sulla terra e, oggi più di ieri, l’umanità ne sente il bisogno e ne evoca la sua presenza. L’angelo custode, non a caso, è diventato il protagonista del mondo contemporaneo proprio quando la robotizzazione consente di aspirare sì al paradiso, ma a quello artificiale. Ormai la figura dell’angelo è presente sempre di più nella pubblicità, nei testi delle canzoni, nelle produzioni letterarie e nei film, dove in ogni epoca è stato scritturato. L’interesse psicologico è inevitabile e di conseguenza avviare una riflessione è possibile, per capire un po’ di più l’essere umano, alla ricerca di se stesso e del senso della vita.

L’essere umano ha sempre albergato dentro di sé dimensioni opposte, ma indissolubilmente legate come il bene e il male, il positivo e il negativo, la luce e le tenebre, che nell’immaginario collettivo possono trovare una raffigurazione simbolica nell’immagine angelica o demoniaca.

L’impalpabilità di tali entità astratte stimola la fantasia, al punto di attribuire a esse delle sembianze umane e la società in cui viviamo oggi, essenzialmente fondata sull’immagine, non poteva non attingere all’iconografia, che nei secoli ha rappresentato gli angeli o i diavoli, per riproporli.

La figura angelica si manifesta, probabilmente, per il bisogno di avere una guida, oppure di qualcuno che ci dica se stiamo procedendo bene o male, ci consigli, ci protegga, che ascolti in modo disinteressato e sia sempre disponibile per lenire la sofferenza, derivante dal senso di solitudine, che pervade la propria anima. Emerge, così, l’esigenza di ricevere qualcosa di buono e di positivo in un momento in cui l’esistenza è costellata di aggressività, prevaricazione, competitività esasperata che inevitabilmente generano e alimentano l’ansia. L’angelo si trasforma in un compagno di viaggio su cui contare, soprattutto, quando si perde la fiducia in se stessi. A questo punto, l’esistenza si circonda di angeli, per esorcizzare la paura della zona d’ombra della vita, creando intorno a sé una barriera piumata, per evitare le infiltrazioni demoniache, espressione di distruttività dei valori della vita, per garantirsi, oggi più che mai, la luce della consapevolezza. Qualcuno potrà essere scettico altri fortemente convinti che gli angeli esistano, ma in ogni caso sarebbe utile porsi la domanda come mai l’essere umano si senta così solo da cercare una presenza  condizionatamente disponibile nella propria vita. Quando si riceve una parola di conforto o si è salvati dall’intervento di qualcuno, spesso, si sente l’espressione “..ma è stato un angelo!” quasi a sottolineare che l’essere umano per fare del bene abbia bisogno di una componente divina. Prioritario, allora, è che l’umanità ritrovi fiducia in se stessa e nelle proprie potenzialità, affinché alla componente umana sia attribuita una peculiarità anche salvifica, per sentirsene portatrice e attivarla, quando sia necessario, per sé e per gli altri

Mese di Gennaio: Passato e Futuro coniugati al presente

 

Il mese di Gennaio  offre la possibilità di attraversare la soglia che ci conduce dal passato al futuro.  Gennaio è il  mese consacrato a Janus, il dio romano dai due volti, uno, dalla fisionomia di un vecchio, rivolto verso il passato e l’altro,  di un giovane,  rivolto verso il futuro.  Januarius  è, quindi,  la porta   che si apre  con il nuovo anno, per accoglierne la nascita. Il passato e il futuro, nel primo mese dell’anno,  trovano il momento di congiunzione nell’attimo  presente, da cogliere senza indugio, per poterlo vivere nella sua essenza. Gennaio è  anche un mese della stagione invernale che ha come simbolo il seme, messo a dimora nella terra e che darà i suoi frutti nelle stagioni successive, quindi un periodo in cui si creano le basi per  nuovi progetti che si concretizzeranno nel tempo.   L’inizio del nuovo anno è sempre  intriso di nuova energia che alimenta il  desiderio e la  speranza che qualcosa possa realizzarsi, importante è non essere impazienti, affinché ci sia il tempo per la maturazione degli eventi.

 

 

Le Palme Rinascenti oltre il punteruolo rosso

Palme  Rinascenti

Quasi dieci anni fa, scrissi su  Third Life (giugno 2010), un articolo sulle palme che stavano morendo sotto l’inesorabile azione distruttiva del punteruolo rosso. Tante palme, in questi ultimi dieci anni, sono state “decapitate” o abbattute, per l’impossibilita di salvarle. Una strage che nel tempo ha colpito anche altri alberi come l’ulivo. L’albero che muore è sempre un indicatore di una disfunzione  della Natura, provocata spesso dall’ incuria e mal custodia umana del patrimonio naturalistico. Mi è capitato, spesso, di osservare le palme alla ricerca di un segnale di ripresa che lasciasse percepire una metaforica salvezza  dell’umanità, senza risultato, finché, qualche giorno fa, un ciuffo che cresceva al centro del tronco decapitato di un palma ha fatto  rinascere la speranza. Palme che ritrovano la forza e la voglia di ritornare a vivere. La palma, simbolo di immortalità,  che si è fatta mortale,  per dare esempio di  quanto l’imponderabile sia anche imprevedibile. Il terzo millennio è caratterizzato dalla massima innovazione tecnologica in tutti i campi della scienza, ma  sempre più si troverà a fare i conti con eventi  che segnano  il confine tra il digitale e il reale, tra l’essere umano sempre più scollato dal mondo della  Natura e la Natura stessa.  L’osservazione della Natura è sempre importante, perché è il termometro della Terra, indica lo stato di  salute del mondo che abitiamo. Ogni gesto ha una conseguenza, non dobbiamo dimenticarlo, anche perché non si può e non si deve tornare indietro, quindi la scienza deve fare il suo corso, ma la strada da percorrere deve sicuramente essere una strada alberata, altrimenti stiamo  solo percorrendo il deserto.

Fotografare la Notte

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Mito Roma, supplemento di International Urbis et Artis, N.1 Gennaio Febbraio 2018

FOTOGRAFARE LA NOTTE

Cosa si può fotografare di notte, senza usare luci artificiali?  L’essenza  del Mondo!  Un mondo sfrondato del superfluo e dei bagliori offuscanti del giorno.

La notte evoca  il buio, la paura ancestrale che l’essere umano porta con sé fin dalla nascita, quando, nella separazione dal caldo e rassicurante contenitore materno, si è ritrovato solo  nel mondo ad affrontare i mostri della sua esistenza.  La paura, così, diventa un motore propulsivo per conoscere l’inconoscibile, per attraversare l’impensabile, per abbracciare l’impalpabile forma della notte.  L’ambiguo fascino della notte attrae come il canto delle sirene, provocando un desiderio irrefrenabile di conoscerla e svelarla alla propria coscienza.  Un giovane fotografo peruviano Musuk Nolte, vincitore dell’edizione 2017 della Elliot Erwitt Havana Club7 Fellowschip, ha  ritratto Cuba di notte  offrendone una lettura più vicina al sogno che alla realtà.  In un’ intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera   e pubblicata sul magazine Style (n.11 novembre 2017), Nolte spiega la scelta di intitolare la serie delle sue foto  “Ombra sull’Isola”, per  cogliere l’ombra di un’isola che in realtà è impossibile da vedere.  L’artista,  nel buio lunare, imprime sulla pellicola il naturale  corso della vita attraverso volti, sguardi,  paesaggi, con l’inevitabile filtro della notte  che nasconde dettagli, ma amplifica emozioni.

In un  famoso film “Effetto Notte”, il regista  Francois Truffaut, cercava  la  notte  cinematografica per immergervi una storia che evidenziasse la notte della coscienza dei personaggi,  all’interno di difficili relazioni. Musuk Nolte, come il regista francese, cerca la notte nella realtà,  senza effetti   speciali, ma con lo stesso intento di cogliere l’ombra della notte che contiene l’ombra della vita,  invisibile, ma dirompente e trasgressiva.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

2018, infinito verticale


2018 alle porte, un numero nuovo da memorizzare e una nuova agenda da riempire. Per quanto non se ne sia consapevoli sono tante le aspettative che si ripongono nel nuovo anno, perché c’è il desiderio di cambiare e  di trovare stimoli per averne il coraggio. Come spesso mi è capitato di scrivere, ogni giorno che passa  non ci trova più vecchi di ieri, ma più giovani di domani, cercando di cambiare prospettiva rispetto al tempo che passa,  per  non vivere la costante sensazione di essere fuori tempo. Capita di sentire espressioni come “ormai, è tardi!”, ma qual è il metro di misura per decidere il superamento del limite?  La vita porta con sé il senso del limite, ma non è l’età  cronologica che lo decreta. Perché, allora, non provare a entrare nel 2018 con la sensazione di infinito che il numero 8 evoca, come simbolo di un infinito verticale, che ancora di più consente di elevarsi verso  nuovi obiettivi cercando se stessi in dimensioni da esplorare e conoscere?

L’augurio che si può fare a se stessi, per il 2018, è proprio quello di accompagnare il tempo come alleato di una vita che per essere vissuta ha  bisogno, paradossalmente,  del tempo, perché  ne segna  il valore infinito  nonostante la  finitezza dell’essere umano.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

Concerto per l’Ombra

CONCERTO PER L’OMBRA

 

La possibilità di assistere a un concerto in un   carcere è un’esperienza che travalica qualunque aspettativa. Quando si  ascolta un concerto in un auditorium o in un teatro, ci si trova immersi in un’atmosfera suggestiva, che consente di sprofondare nella rete pentagrammata che la composizione eseguita consente, per lasciarsi  andare alla leggerezza della musica, ipotizzando che le stesse sensazioni possano essere riproducibili in qualunque situazione analoga, ma non è così!   Il luogo in cui si svolge un concerto ha la sua peculiarità,  che ne caratterizza il senso e la finalità. Se, infatti,  il luogo è un carcere e   gli spettatori sono detenuti,  la musica assume un valore indescrivibile.  Le regole cambiano, non si entra con un biglietto, ma con un permesso e gli spettatori  non entrano  come capita un po’ alla volta, ma tutti insieme, come un nucleo uniforme senza identità e senza individualità.  Un nucleo  di energia compressa e blindata, affinché possa depotenziarsi attraverso la contenzione al di là del contenimento.   Il piccolo popolo tra le sbarre evoca il piccolo popolo che abitata in ognuno di noi e che chiede di essere ascoltato, accolto e  decodificato per essere tradotto nella luce della coscienza e  renderlo comprensibile  nel suo significato.  L’ombra lunga della colpa  cela il tormento  di una vita  che stenta a trovare un suo centro intorno a cui edificare progetti e desideri, invece di  azzardo e trasgressioni.  L’incontro con il piccolo popolo, che dall’immaginario collettivo entra nella realtà individuale,  ha un effetto dirompente che esplode in un’emozione che apre varchi tra sbarre e recinti fino ad arrivare al cuore di ognuno.   La musica   fa dileguare  per un attimo l’ombra dell’umanità per lasciare il posto a un raggio di luce  che si fa strada tra le lacrime che furtivamente si asciugano, ma che lasciano un segno. Il concerto per l’Ombra, archetipo che si attiva nei momenti più bui della coscienza e dirompe improvvisamente, è un evento paradossale, perché la musica è espressione della massima creatività dell’essere umano frutto dell’integrazione degli opposti, mentre l’ombra è rappresentativa della più profonda scissione della coscienza dai suoi  aspetti più oscuri. Il paradosso musicale per l’ombra, però,  sintetizza quanto un luogo di detenzione si prefigge e, cioè, restituire  al detenuto una nuova individualità  consentendo una congiunzione degli opposti, affinché la consapevolezza diventi guida per la costruzione  di una coscienza di sé e delle proprie potenzialità da sviluppare al servizio della  costruttività.  La chiave musicale è una chiave universale che consente di accedere a un’esistenza autentica in un percorso individuativo,  in cui dare senso alla propria vita  al di là del Bene e del Male.

 

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

Stelle Cadenti

STELLE CADENTI

 

In questi giorni  il cielo della notte dovrebbe essere attraversato da scie luminose causate  da frammenti di meteore  incandescenti, chiamate stelle cadenti.  Se si scruta il cielo, lontano dall’inquinamento luminoso delle città, si dovrebbe poter assistere allo spettacolo  naturale di pioggia di piccoli fuochi,  esprimendo un desiderio, almeno questa è la tradizione. Quando si parla di desideri, in genere, la lista sembra essere lunghissima,  al punto di non sapere a quale di essi dare la precedenza. È il  pensiero magico-animistico, legato all’infanzia, che induce persone adulte a credere a questi eventi propiziatori, affinché possano  favorire la realizzazione  di un desiderio,  regalando  l’illusione di un attimo di onnipotenza.   In fondo, perché non provare, al limite non succede niente!

Accade, anche, di incontrare persone che hanno smesso di desiderare, senza esserne consapevoli, rimanendo interdette di fronte alla richiesta di un desiderio.  Un desiderio non si risolve soltanto nell’improponibile aspirazione a vincere milioni di euro o trovare l’amore della vita, un desiderio può essere la spinta a superare le proprie paure per realizzare un progetto, per raggiungere un obiettivo e  oltrepassare la soglia del limite che impedisce di trovare se stessi.  Più spesso si attende che qualcosa accada, senza che un desiderio abbia creato un varco per avviare un percorso, rendendo vana l’attesa. Forse, c’è sempre stato un equivoco di fondo che ha lasciato confondere  il significato di desiderio con qualcosa  di effimero e quindi  distraente rispetto alla necessaria fatica per arrivare alla meta  prefissa.

Senza voli pindarici, un desiderio può attivare un’azione utile per costruire  l’impalcatura che consente di lavorare intorno alla propria opera, investendo, comunque, energia psico-fisica, perché non c’è bacchetta magica che realizzi  desideri, se non quella della perseveranza e della lungimiranza. In realtà, la differenza tra vivere e sopravvivere sta proprio nella capacità di desiderare e si dovrebbe essere nella condizione psicologica di poter sempre desiderare, anche quando  si è più inclini alla paura di incorrere in una disillusione, soprattutto  in età in cui si può avere la sensazione di avere realizzato tutto sentendosi sazi o meglio ancora stanchi, senza energie.

Quale miglior ricostituente o integratore, allora, può essere il desiderio di continuare a cercare se stessi  seguendo la strada più adatta  per plasmare l’ opera della vita,  attivando l’artista interno che cura ogni male consentendo di poter recitare insieme a  Cicerone   “opera desiderat tempus et animum vacuum ab omni cura” (l’opera  necessita  di tempo e di animo libero da ogni  preoccupazione)!

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

 

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA DI HOKKAIDO

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA   DI   HOKKAIDO

 

 

Cosa avrebbe pensato il regista giapponese Akira Kurosawa dell’abbandono nella foresta di un bambino  di sette anni da parte dei genitori che volevano punirlo per aver tirato sassi  ad automobili di passaggio?

Ovviamente, è un episodio deplorevole che ha messo a repentaglio la vita di un bambino che non trova nessuna giustificazione, ma  l’evento mi ha riportato alla memoria il  film Sogni del regista Kurosawa. Nel film c’è un episodio onirico “Il sole attraverso la pioggia” in cui  una madre dice a suo figlio che in quel giorno di sole e di pioggia le volpi celebrano il loro matrimonio e nessuno può vederle, quindi invita il piccolo bambino a non andare nel bosco. Naturalmente il divieto ha scatenato la curiosità del bambino che assiste alla processione celebrativa delle volpi. Al suo ritorno a casa trova sua madre che lo aspetta sulla soglia della porta, con in mano un oggetto che per lui  hanno lasciato le volpi: un coltello!  La madre esorta il figlio ad andare a chiedere perdono alle volpi  con “fronte a terra e mani giunte”, nella speranza che gli venga concesso, e chiude la porta di casa, lasciandolo solo a decidere della sua vita: perdono o suicidio, cioè karakiri!. Il bambino si avvia verso la casa delle volpi  ai piedi  dell’arcobaleno che nei giorni  in cui il sole e la pioggia si sposano, si manifesta nelle sua maestosità. L’episodio termina con il bambino che con coraggio si avvia, anche se il suo  cuore è  pieno di paura e  se otterrà il perdono non è dato saperlo. Quanto è accaduto al bambino giapponese abbandonato, realmente, nel bosco dai suoi genitori per punizione e ritrovato miracolosamente vivo, ricorda molto il bambino lasciato al suo destino per aver trasgredito un divieto. Evidentemente, il film di Kurosawa narra di paure  oniriche che  affondano le radici nell’inconscio  collettivo e si palesano in tutta la loro drammaticità, affinché se ne possa trovare una catarsi. “La realtà onirica di Sogni  si apre infatti a una visione dell’inconscio che non è solo personale, ma che radica le sue immagini nel fondo collettivo della psiche”. Carotenuto,A. Jung e la Cultura del  XX Secolo,Milano,Bompiani,1995 pag.122,123.

La riflessione indotta dall’abbandono del bambino nella realtà e nell’immaginario  collettivo  ci pone a una distanza più ravvicinata dall’evento accaduto in Giappone, nella speranza che non si  archivi l’episodio come pura follia di quei  genitori, sentendosi estranei a scelte punitive così tragiche.  La trasgressione va di certo stigmatizzata a fini pedagogici, ma le conseguenze circa la punizione che si infligge  va ponderata, perché, se supera la soglia della paura, potrebbe lasciare tracce indelebili. È vero che  il film è  di un regista giapponese e l’episodio è avvenuto in Giappone, ma l’Oriente,  nel  mistero a volte impenetrabile della sua cultura,  ci  risveglia, anche tragicamente,  ad una riconsiderazione della vita e dei suoi valori,  dati troppo spesso per acquisiti. Forse, le volpi del film insegnano che il perdono esiste  come opposto alla punizione  estrema, e che il bambino giapponese sia stato salvato proprio da loro, in attesa che l’umanità rinsavisca e  vada ai piedi dell’arcobaleno a chiedere perdono.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta