25 NOVEMBRE 2017

 

Introduzione al progetto:

UN’ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÒRA:

cambiare accento per cambiare prospettiva

 

 

Quale differenza può fare un accento?

I media  riportano per l’ennesima volta la  notizia di un efferato delitto perpetrato nei confronti di una donna da parte del proprio uomo o del branco selvaggio, e l’espressione più istintiva che dirompe dalle corde vocali è : ancòra!

Se provassimo a cambiare l’accento e si cercasse un’àncora per fermare l’irrefrenabile scia di morte che l’umanità sta lasciando dietro di sè?

L’àncora  per le morti delle donne ancora non esiste,  perché non è chiaro su quale sponda debba  approdare la nave della consapevolezza del valore della vita umana. La mano del carnefice non ha età, come non ha età la vittima.

Le domande che si rincorrono nella mente per capire il senso di tanta crudeltà,  rimbalzano sul muro dell’incredulità.

Il disorientamento che si prova di fronte all’imprevedibiltà della mente umana fa vacillare ogni punto di riferimento, che si riteneva stabile nel concepire il confine tra il bene e il male.  La labilità del confine  pone l’essere umano nella zona buia della sua coscienza, dove tutto si confonde e tutto svanisce: certezza, sicurezza, chiarezza, stabilità etc. È a questo punto che si cerca un approdo per potersi fermare e gettare, così, l’àncora, per osservare, capire e cambiare qualcosa, affinché  si possa ripartire in sicurezza nella vita di tutti i giorni, senza insidie e paure.

 

L’àncora per le  vittime,  che cadono ogni giorno sul campo di battaglia per la libertà,  richiede il lavoro di tutti, per ritrovare il valore e il senso della vita  da dove ripartire, oggi più che mai, tendendo una mano alla solitudine, al dolore, alla sofferenza, al silenzio di chi non ha più voce se non per dire: ancòra!

Il verricello che accompagna l’àncora a cercare un appiglio, va attivato subito, affinché   si fermi la navigazione dell’ umanità, inconsapevole delle regole della convivenza e della condivisione. L’epoca in cui viviamo, è caratterizzata dal tutto e subito, quando, per esempio, non si sa aspettare per differire il soddisfacimento di un bisogno, la cui frustrazione può trasformarsi, per alcuni, in un delirio persecutorio. L’accelerazione della vita sta producendo una totale assenza del tempo necessario alla  metabolizzazione degli eventi, affinché si possano trarre  insegnamenti utili  dalle esperienze di vita. Gli accadimenti mortiferi di oggi, perpetrati nei confronti delle donne,  impongono una riflessione  che non circoscriva la responsabilità  all’imponderabile, ma a quanto è stato costruito in modo stereotipato negli anni intorno alla figura e al ruolo della donna all’interno della società, al punto che l’emancipazione della donna  non abbia avuto giusta corrispondenza  nella costruzione delle  coscienze. La divaricazione tra i cambiamenti che riguardano il mondo femminile, con la percezione consapevole di essi,  produce un’ inevitabile incomprensione con il mondo maschile che, per quanto accetti razionalmente l’emancipazione della donna, ancora non ne è pronto emotivamente, culturalmente, antropologicamente a interiorizzarlo.

L’àncora, simbolo del cambio di prospettiva, richiede un cambio di accento nella  cultura, nell’ambiente educativo e pedagogico da parte delle famiglie e delle istituzioni, oltre al cambio di accento  nelle aspettative di   funzioni  femminili, in considerazione  del  ruolo che ha  la donna all’interno della società del terzo millennio.

Il tempo del  cambiamento delle coscienze, sarà lungo e impervio, però possibile, ma sarà necessario un tempo lento e costante, perché l’essere umano non è un robot,  la vita non è un computer e, ancora di più, è irripetibile e irreversibile. Il pensiero irreversibile è un’acquisizione  matura fin dall’infanzia, ma  che l’adulto ha inibito nella presunzione onnipotente  di poter rimediare a  qualunque comportamento, paradossalmente, anche mortifero, come se fosse  concesso un game over.

Solo recuperando il tempo, il significato, il valore e il rispetto per la vita propria e dell’altro,  è possibile cambiare prospettiva e cambiare accento, per trovare il giusto passo verso la consapevolezza.

 

Il progetto “Un’àncora per non dire più ancòra” è partito l’8 marzo 2017 e continuerà il suo cammino con iniziative che  cercheranno di dare continuità alla riflessione psicologica sul mondo femminile.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

Stelle Cadenti

STELLE CADENTI

 

In questi giorni  il cielo della notte dovrebbe essere attraversato da scie luminose causate  da frammenti di meteore  incandescenti, chiamate stelle cadenti.  Se si scruta il cielo, lontano dall’inquinamento luminoso delle città, si dovrebbe poter assistere allo spettacolo  naturale di pioggia di piccoli fuochi,  esprimendo un desiderio, almeno questa è la tradizione. Quando si parla di desideri, in genere, la lista sembra essere lunghissima,  al punto di non sapere a quale di essi dare la precedenza. È il  pensiero magico-animistico, legato all’infanzia, che induce persone adulte a credere a questi eventi propiziatori, affinché possano  favorire la realizzazione  di un desiderio,  regalando  l’illusione di un attimo di onnipotenza.   In fondo, perché non provare, al limite non succede niente!

Accade, anche, di incontrare persone che hanno smesso di desiderare, senza esserne consapevoli, rimanendo interdette di fronte alla richiesta di un desiderio.  Un desiderio non si risolve soltanto nell’improponibile aspirazione a vincere milioni di euro o trovare l’amore della vita, un desiderio può essere la spinta a superare le proprie paure per realizzare un progetto, per raggiungere un obiettivo e  oltrepassare la soglia del limite che impedisce di trovare se stessi.  Più spesso si attende che qualcosa accada, senza che un desiderio abbia creato un varco per avviare un percorso, rendendo vana l’attesa. Forse, c’è sempre stato un equivoco di fondo che ha lasciato confondere  il significato di desiderio con qualcosa  di effimero e quindi  distraente rispetto alla necessaria fatica per arrivare alla meta  prefissa.

Senza voli pindarici, un desiderio può attivare un’azione utile per costruire  l’impalcatura che consente di lavorare intorno alla propria opera, investendo, comunque, energia psico-fisica, perché non c’è bacchetta magica che realizzi  desideri, se non quella della perseveranza e della lungimiranza. In realtà, la differenza tra vivere e sopravvivere sta proprio nella capacità di desiderare e si dovrebbe essere nella condizione psicologica di poter sempre desiderare, anche quando  si è più inclini alla paura di incorrere in una disillusione, soprattutto  in età in cui si può avere la sensazione di avere realizzato tutto sentendosi sazi o meglio ancora stanchi, senza energie.

Quale miglior ricostituente o integratore, allora, può essere il desiderio di continuare a cercare se stessi  seguendo la strada più adatta  per plasmare l’ opera della vita,  attivando l’artista interno che cura ogni male consentendo di poter recitare insieme a  Cicerone   “opera desiderat tempus et animum vacuum ab omni cura” (l’opera  necessita  di tempo e di animo libero da ogni  preoccupazione)!

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

 

 

 

BINARIO MORTO

BINARIO MORTO!

Tante parole sono state spese per commentare lo scontro tra due treni accaduto in Puglia   due giorni fa, ma tante altre rimangono bloccate in gola dalla rabbia e dal dolore.

Nel tempo affioreranno le parole del lutto e della perdita, che consentiranno alle emozioni di lasciare il posto al ricordo e  nel ricordo sarà utile evitare di re-agire all’evento, ma di agire, perché l’azione costruisce nuove strade, mentre la re-azione mantiene quelle già percorse.  Strade già percorse a senso unico alternato, che hanno dato la precedenza alla morte, lacerando la terra della Grande Madre con  una ferita profonda  e penetrante.  Tra gli ulivi, simbolo della rinascita a nuova vita, trova, paradossalmente, spazio la morte.  Il senso della vita, in queste tragedie, vacilla, rimanendo  avvolto sempre più nel mistero  e la domanda che ricorre tra i sopravvissuti  è: “perché accadono questi eventi?”, ma al di là delle responsabilità umane,  la risposta non ci sarà.

Come rispondere, allora, al bisogno di sapere e di capire?   Nel caso specifico l’incidente è accaduto perché  uno dei due treni non ha aspettato l’arrivo dell’altro per partire,  è avvenuta un’accelerazione di eventi che si sono sovrapposti, come spesso accade ormai nella quotidianità di ogni essere umano, si affastellano impegni di vario tipo senza riuscire più a distinguere le vere priorità  e la vita è una di queste, dimenticata, come se fosse scontato vivere, mentre in realtà è scontato solo morire.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicolterapeuta

BREXIT

Il destino dell’Europa è di essere abbandonata, alla stregua della ninfa Europa che, dopo essere stata sedotta, fu abbandonata da Zeus nella terra che oggi prende il suo nome!  Disarcionata, ancora oggi, dalla Gran Bretagna  che è sempre stata sulla soglia della porta europea, nel dubbio amletico di  essere o non essere in Europa.

Il 23 giugno 2016, il popolo britannico ha votato di lasciare l’Europa aprendo scenari ignoti. L’ignoto non può essere spiegato attraverso il noto, cioè  il conosciuto, quindi qualunque previsione  potrebbe essere azzardata, rispetto alle conseguenze. Prevedibile è  che la separazione produrrà smarrimento e paura in chi vive situazioni già precarie e poco definite in Gran Bretagna, prevedibile è modificare schemi mentali che collocavano un tassello sicuro nella mappa europea. Prevedibile è la necessaria riflessione sull’evento, da parte di chi avrà l’obbligo di rivedere il potere politico ed economico agito fino ad oggi, nel governare il sogno europeo nato  sull’isola di Ventotene, da parte di uomini e donne che vedevano nell’Europa unita l’unica possibilità di difesa da nemici invasori.  Oggi, non è chiaro chi siano i nemici o gli amici dell’Europa, sicuramente la confusione è evidente e l’elettroshock del voto della grexit  impone di fermarsi, per cercare un  nuovo punto di vista con cui osservare l’orizzonte del futuro oltre qualunque miopia  che accorcia il campo visivo.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA DI HOKKAIDO

 

 

ABBANDONO NELLA FORESTA DELL’ISOLA   DI   HOKKAIDO

 

 

Cosa avrebbe pensato il regista giapponese Akira Kurosawa dell’abbandono nella foresta di un bambino  di sette anni da parte dei genitori che volevano punirlo per aver tirato sassi  ad automobili di passaggio?

Ovviamente, è un episodio deplorevole che ha messo a repentaglio la vita di un bambino che non trova nessuna giustificazione, ma  l’evento mi ha riportato alla memoria il  film Sogni del regista Kurosawa. Nel film c’è un episodio onirico “Il sole attraverso la pioggia” in cui  una madre dice a suo figlio che in quel giorno di sole e di pioggia le volpi celebrano il loro matrimonio e nessuno può vederle, quindi invita il piccolo bambino a non andare nel bosco. Naturalmente il divieto ha scatenato la curiosità del bambino che assiste alla processione celebrativa delle volpi. Al suo ritorno a casa trova sua madre che lo aspetta sulla soglia della porta, con in mano un oggetto che per lui  hanno lasciato le volpi: un coltello!  La madre esorta il figlio ad andare a chiedere perdono alle volpi  con “fronte a terra e mani giunte”, nella speranza che gli venga concesso, e chiude la porta di casa, lasciandolo solo a decidere della sua vita: perdono o suicidio, cioè karakiri!. Il bambino si avvia verso la casa delle volpi  ai piedi  dell’arcobaleno che nei giorni  in cui il sole e la pioggia si sposano, si manifesta nelle sua maestosità. L’episodio termina con il bambino che con coraggio si avvia, anche se il suo  cuore è  pieno di paura e  se otterrà il perdono non è dato saperlo. Quanto è accaduto al bambino giapponese abbandonato, realmente, nel bosco dai suoi genitori per punizione e ritrovato miracolosamente vivo, ricorda molto il bambino lasciato al suo destino per aver trasgredito un divieto. Evidentemente, il film di Kurosawa narra di paure  oniriche che  affondano le radici nell’inconscio  collettivo e si palesano in tutta la loro drammaticità, affinché se ne possa trovare una catarsi. “La realtà onirica di Sogni  si apre infatti a una visione dell’inconscio che non è solo personale, ma che radica le sue immagini nel fondo collettivo della psiche”. Carotenuto,A. Jung e la Cultura del  XX Secolo,Milano,Bompiani,1995 pag.122,123.

La riflessione indotta dall’abbandono del bambino nella realtà e nell’immaginario  collettivo  ci pone a una distanza più ravvicinata dall’evento accaduto in Giappone, nella speranza che non si  archivi l’episodio come pura follia di quei  genitori, sentendosi estranei a scelte punitive così tragiche.  La trasgressione va di certo stigmatizzata a fini pedagogici, ma le conseguenze circa la punizione che si infligge  va ponderata, perché, se supera la soglia della paura, potrebbe lasciare tracce indelebili. È vero che  il film è  di un regista giapponese e l’episodio è avvenuto in Giappone, ma l’Oriente,  nel  mistero a volte impenetrabile della sua cultura,  ci  risveglia, anche tragicamente,  ad una riconsiderazione della vita e dei suoi valori,  dati troppo spesso per acquisiti. Forse, le volpi del film insegnano che il perdono esiste  come opposto alla punizione  estrema, e che il bambino giapponese sia stato salvato proprio da loro, in attesa che l’umanità rinsavisca e  vada ai piedi dell’arcobaleno a chiedere perdono.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

RADIOHEAD

 

RADIOHEAD

 

Come commentare la scelta del gruppo musicale Radiohead di  congedarsi dal web, spegnendo una per una tutte le luci che illuminavano i loro social network? Interessante, prima di tutto, al di là dell’intento. In fondo può essere una trovata pubblicitaria, per far parlare di loro anche nel silenzio o per indurre una riflessione  sulla vita virtuale per ricondurla al reale o per vivere l’ebbrezza di  cadere in un  buco nero. Al momento non è dato sapere il motivo che sottende la scelta del gruppo  di Thom Yorke, ma per quanto ci riguarda potremmo capirne il senso.

Come a volte capita,  ci sono persone che riescono ad anticipare intuitivamente il cambio di rotta dei comportamenti  più diffusi, tra gli uomini e le donne del Pianeta Terra, che caratterizzano le varie epoche, e avere il coraggio di  avviare il cambiamento.  Sicuramente, è più semplice sparire, quando non si ha paura di essere dimenticati,  ma è pur vero che il web non consente  una vita virtuale  che tenga conto dei passaggi evolutivi di un individuo, famoso e non, perché le informazioni rimangono scolpite nell’etere come se fossero fresche di giornata, quando in realtà così non è! Allora, forse, azzerare il passato virtuale, consente di tornare nel presente e riproporsi in una nuova veste, più consona al  proprio sentire. In ogni caso riflettere sul bisogno di essere sempre connesso e presente nel web per filmare, fotografare, scrivere o postare continuamente la propria prova di esistenza al mondo che guarda, può produrre un bisogno di  vuoto e di assenza, per riappropriarsi dell’intimità della propria vita, per interiorizzare le immagini significative e portarle dentro di sé, affinché  producano humus necessario al nutrimento dell’anima. Certo non è stimabile il seguito che avrà la scelta dei Radiohead, nella popolazione del web,  ma sicuramente una traccia visibile nell’invisibilità, comunque, la lasceranno.

 

Sira Sebastianelli

ONDE GRAVITAZIONALI

 

 

Onde Gravitazionali

Una nuova finestra si è aperta sull’universo che consente di vedere oltre la siepe della conoscenza. Antenne americane ed europee hanno rilevato segnali che  confermano quanto aveva anticipato e ipotizzato lo scienziato Albert Einstein, circa l’esistenza delle onde gravitazionali trasmesse dallo scontro di  buchi neri che  abitano l’universo.  Quanto accade nella scienza non può non interessare la psicologia, poiché  ogni scoperta può avere risvolti  interessanti nella evoluzione dell’umanità.  Del resto, quanto ieri era solo  fantascienza, oggi, diventa sempre più realtà.  La stazione spaziale, per esempio,   orbitante intorno alla Terra, che ospita astronauti e astronaute, ormai, è un avamposto cosmico stabile e sempre più realistica  sembra essere la possibilità del viaggio umano su Marte.

Sui buchi neri, per tornare alla rilevazione delle onde,  si sa ben poco e molto si è ipotizzato e fantasticato. Non a caso, infatti,  quando  intendiamo sottolineare una situazione senza poterne prevedere i contorni  o l’entità della portata delle conseguenze, utilizziamo l’espressione “buco nero”.  Un buco nel quale si entra e non si può prevedere cosa ci può essere dentro e come se ne potrebbe uscire.   Un po’ come entrare in fasi della vita in cui non si riesce a intravedere nulla e si è completamente disorientati, finché  un’antenna interna non percepisca l’onda  prodotta dal disagio psichico, che impone  la ricerca di un raggio di luce nel buio in cui si è immersi.  Sembra un ossimoro affermare che un buco nero aiuti a far luce nell’universo fuori di noi e dentro di noi, ma  se si producono onde, forse, può significare che esiste una cassa di risonanza dove vibrano particelle di vita che risvegliano a nuova vita.

 

Sira Sebastianelli

IL GIUBILEO DELL’ARTE

Questo articolo è stato pubblicato nel n.29/2015   della rivista Urbis et Artis e, in occasione della giornata inaugurale del Giubileo 2015, ripropongo per i lettori di Thirdlife.it

 

IL GIUBILEO DELL’ARTE

8 dicembre 2015, inizio del  Giubileo straordinario, indetto da Papa Francesco. In anticipo di  dieci anni  si aprono le Porte Sante  per consentire  il passaggio del sacro soglio a  milioni di persone. Un evento spirituale che coinvolge il mondo cattolico, ma che scuote le coscienze di tutti, perché  il Giubileo è l’anno dell’ indulgenza, della remissione dei peccati e della purificazione dell’anima.   Gli uomini e le donne sono chiamati a un bilancio della propria esistenza, attraverso un atto introspettivo e meditativo. Non a caso nel mondo ebraico, dove  ebbe inizio   il Giubileo, l’anno giubilare prevedeva la sospensione del lavoro  per vivere dei frutti spontanei della terra,  in contatto diretto con la Natura.  Oggi sarebbe difficile sospendere il lavoro, ma vivere  con maggiore consapevolezza a stretto contatto con il mondo della Natura dovrebbe essere possibile. 

L’Arte può segnare la strada  per percorrere questo anno santo alla ricerca della  spiritualità, per elevare gli animi  e alleggerirli  dei carichi pesanti della fatica di vivere.  Il sentiero dell’ Arte, che ognuno di noi può conoscere seguendo la forma espressiva più congeniale a sé,  consente di trovare o di ritrovare la propria autenticità, unica condizione per  intraprendere il cammino della consapevolezza.

Ritornare al centro per ripartire dal centro, simbolicamente  rappresentato dal  pellegrinaggio verso la Basilica di San Pietro, centro della Cristianità, dove il pellegrino  giunge appesantito da catene  ingombranti  e  da dove riparte alleggerito e liberato da ogni schiavitù.

 L’anno giubilare inizialmente ricorreva ogni 100 anni, poi  alcuni  Papi lo hanno anticipato a 50 e a 25 anni, ritenendo, forse, di consentire a più generazioni l’accesso alla remissione dei peccati. Da qui si può desumere che, oggi. non si potevano aspettare altri dieci anni per il Giubileo  e quindi per la redenzione dell’anima, perché l’umanità   sta perdendo il senso della vita e del suo valore intrinseco.  Il soffio vitale che accompagna l’essere umano fin dalla nascita, è depotenziato dalla rabbia, dall’insoddisfazione, dalle ingiustizie  che inaspriscono gli animi al punto di legittimare qualunque azione, spesso distruttiva e mortifera,  finalizzata alla rivendicazione dei propri  “diritti”.  Una conversione di tendenza è possibile solo se si riprende in mano la propria esistenza  oltrepassando la soglia delle paludi  mortifere della negatività, per accedere alla dimensione  salvifica della creatività.  Qui l’arte  tende una mano forte e coraggiosa per sostenere la purificazione dell’anima, al  di là del credo religioso, perché  i luoghi dell’arte sono anche i luoghi dello spirito e dell’anima  e  qualunque produzione artistica non sarebbe possibile senza l’ascolto di sé nella consapevolezza di sé.

Arte, spiritualità, anima, natura, quindi,  costellano un universo  di tematiche su cui poter riflettere per un tempo infinito, ma  che riconducono sempre e comunque all’essere umano e al suo Giubileo.

          Sira Sebastianelli

ASILO&ISOLA:anagramma dell’anima

ASILO &  ISOLA: anagramma dell’anima

 

Sono, ormai, anni che vediamo, su tutti i media, barconi o gommoni carichi di persone che si spingono verso le coste italiane o greche per chiedere asilo. Barconi il cui scafo sprofonda in mare, lasciando affiorare a pelo d’acqua le sagome di donne, uomini e bambini, talmente pigiati l’uno contro l’altro che se ne perdono i contorni.  Non tutti, purtroppo, raggiungono la terra, ma chi, ne ha la fortuna, tocca il suolo dell’isola agognata  senza sapere  che nella lingua italiana isola è l’anagramma di asilo.

Nel  desiderio di salvezza  un’inconsapevole  congiunzione di due miraggi: asilo & isola.

In questi giorni la migrazione di tante persone segue le vie di terra, ma sempre con lo stesso scopo   di trovare una metaforica isola  di salvezza che dia asilo.

Asilo è il luogo da dove non si può essere portati via,  in cui si è al sicuro, e  l’isola  è un luogo che il mare protegge, ma che a volte imprigiona per la tempesta dei flutti.  Due termini che intrinsecamente racchiudono uno stesso significato rappresentato simbolicamente  da un cerchio,  all’interno del quale si è  protetti, ma dal quale  non sempre si può uscire.

La via di uscita sta nel superamento degli ostacoli  prodotti dalla paura del cambiamento che inevitabilmente la nuova realtà migrante produce.  Proprio quando si ha paura,però, si cerca un posto sicuro dove trovare rifugio e ognuno di noi avrebbe  diritto ad un’isola su cui approdare per chiedere asilo, per poterne  ripartire rinfrancati e rassicurati.  Come nell’infanzia il posto sicuro era il grembo materno oggi è la Grande  Madre, archetipo risvegliato dalla necessità di accogliere e nutrire.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

L’ATTESA TRA DESIDERIO E DELUSIONE

L’ATTESA TRA  DESIDERIO E DELUSIONE

La promessa di rivedere con più flessibilità la riforma Fornero  del 2011 (che ha elevato l’età per andare in pensione)  da parte dell’attuale governo Renzi, rimodulandone i limiti dell’età di uscita dal lavoro,  sembra non essere stata rispettata, almeno a quanto si legge sulla stampa in questi giorni. Una nuova doccia fredda per tutte le donne e gli uomini  che  speravano in un  cambiamento dei limiti d’età per raggiungere l’obiettivo pensione.  Già nel 2011,  commentando, in un’intervista sulla stampa, da un punto di vista psicologico la legge Fornero,   evidenziai i rischi  probabili che  l’aspettativa negata del desiderio di cambiare vita e di vedere realizzati i sogni di un meritato riposo, si sarebbero potuti  produrre sulla salute psico-fisica delle persone.    Le conseguenze possono investire  la sfera vitale di una persona che vede la propria progettualità  implodere  insieme alla speranza di  cambiamento,  per l’impatto con  il  muro delle logiche dell’ economia e della finanza internazionale   che massificano    le differenze e le diversità di ognuno.

Il lavoro dà dignità, ma non averne il riconoscimento del limite dà disperazione. L’impotenza attiva  passività che va a nutrire una vena depressiva di cui non è possibile  prevederne la profondità.  La pensione riguarda persone che hanno raggiunto già i sessant’anni d’età, ciò significa che le risorse per reagire alle avversità o all’imprevisto non sono le stesse che si potrebbero avere a trenta o a quarant’anni. A volte il lavoro è usurante, poco o per nulla gratificante,  ripetitivo,  che sollecita aggiornamenti tecnologici spesso frustranti per chi non ne ha più l’elasticità mentale, perché, allora, prolungarlo per tempi  psicologicamente incongrui?  Perché non lasciare  che sia facoltativa la decisione di elevare i propri tempi  per  andare in pensione, considerando che le differenze tra il  lavoro e gli individui che lo svolgono sono innumerevoli? Anche la differenza di genere non va trascurata, le donne, per esempio, sono, nel corso della loro vita, impegnate su più fronti (lavoro, casa, figli, genitori anziani,etc.), e più cresce l’età  più  cresce il loro desiderio di  recuperare il tempo per se stesse.

La qualità di vita andrebbe tutelata ad ogni costo, perché la vita è una, ed è un diritto viverla come si desidera dopo trenta e più anni di lavoro.  Purtroppo,  con  l’età che avanza  cresce anche il rischio di  soffrire di patologie che appesantiscono la quotidianità lavorativa con ripercussioni inevitabili  sul benessere generale.  Il dilemma “lavorare per vivere o vivere per lavorare” dovrebbe  trasformarsi nell’ affermazione “poter vivere anche dopo avere lavorato”.

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta