Cos’è la solitudine?
……… un foglio bianco che aspetta di ricevere lettere che formino parole significative.
Più dirompe la stanchezza di essere affettivamente soli e più ci si ritrova ad essere soli, perché non ci si sente nella condizione psicologica di stare con gli altri. Ci si sente mancanti e non più in grado di compensare l’assenza di contatti sociali con surrogati reali o virtuali.
La solitudine, però, non pesa più quando ci si abitua ad abitarla con assiduità: subentra un’insolita tranquillità, che si autoalimenta ricercando situazioni sempre più deprivate di sollecitazioni emotive. S’ipotizza il raggiungimento della pace, ma in realtà c’è solo paura di soffrire e si erige un muro tra sé e l’emotività, tra sé e l’affettività.
A questo punto la solitudine non è più il naturale involucro che avvolge l’essere umano per tutta la sua esistenza, ma una rigida cortina isolante. Soltanto gli aculei possono trapassare la corazza della solitudine, come per le piante del deserto, unico estremo tentativo di carpire nutrimento in ambiente deprivato. Crescita spinosa salvifica ma mortifera, al contempo, per chiunque si avvicini. Ormai ogni tentativo di cambiamento produce sofferenza lacerante, con pericolosa perdita di linfa.
E’ in questo stato d’animo, d’ incosciente coscienza, che si scivola lentamente in cantina, sì in cantina: la stanza segreta, nascosta nella penombra dell’Io. Luogo dove si affastellano le ricchezze spesso dimenticate dell’esistenza. È lì che si nasconde la conoscenza di sé, nella cantina che Bernardo di Chiaravalle chiamava secondo cielo.
E’ lì che si può preparare l’acqua vulneraria, l’antidoto che neutralizza il veleno che contamina la vita e la depriva del soffio vitale. La cantina è il luogo della rimozione parziale, dove si affastellano oggetti di ogni tipo che si dimenticano, ma che si ritrovano quando si riaprono le porte dei luoghi della memoria. Il contatto con i ricordi, se da una parte può evocare l’eco di un dolore antico, dall’altra può contribuire a produrre l’acqua riparatrice di ogni cicatrice.
L’acqua, simbolo del liquido nel quale siamo immersi fin dal concepimento, che ci contiene, proteggendoci, come una barriera fluida, morbida, ma compatta, è il reagente fondamentale nel percorso della ri-nascita psicologica. I tanti oggetti-ricordi possono diventare gli elementi che compongono la formula chimica dell’acqua vulneraria, presidio psicologico che sottende la cura di ogni ferita dell’anima. L’immersione in questo contenitore-cantina un po’ alla volta consente di ritrovare le energie per muovere piccoli passi verso la vita, verso la coscienza di sé, depurati dalla paura di essere inadeguati e dall’incapacità di camminare con gli altri.
Dalla cantina, quindi, si può e si deve ripartire, ma attraversando il presente, l’unico verbo coniugabile mentre si attraversa l’esistenza.
Il passaggio dal passato al futuro senza il ponte del presente, produce sbalzi termici: il passato è una strada che ci lasciamo alle spalle su cui cala il gelo, deprivato dal calore della vita emotivo-affettiva, mentre il futuro è una strada dove sono a dimora i semi che arrivano di slancio dal presente insieme a qualche stilla di calore.
E’ nel presente, infatti, che c’è il calore della fiamma vivifica.
Il presente è la soglia su cui la nostra vita si compie, senza di essa il passato irromperebbe nel futuro come una valanga, seppellendo la vita tra i cristalli di neve.
E sulla soglia dell’esistenza attraversiamo la vita, come un foglio bianco che aspetta di ricevere lettere che formino parole significative.