Il popolo dei carrelli e dei passeggini
A chi non è capitato di vedere persone con dei carrelli della spesa o dei passeggini per bambini, fermi davanti ai cassonetti dell’immondizia intenti a cercare cibo ancora commestibile oppure oggetti da riutilizzare o rivendere?
Qualche anno fa i clienti del cassonetto erano sporadici, oggi sono sempre più frequenti e sempre più diversificati.
Oggi il popolo dei bisognosi non è più quello che il nostro immaginario collettivo vestiva con abiti consunti o rattoppati, oggi il popolo dei bisognosi attraversa trasversalmente la nostra società, ad esso appartiene chi non trova più risorse per sostenere se stesso e non è più riconoscibile dalle toppe sui vestiti.
Ricordo un film, di qualche decennio fa, in cui Vittorio De Sica interpretava un personaggio la cui povertà lo costringeva a coprire una toppa, o una lacerazione del tessuto, sui suoi pantaloni con un giornale, per non mostrare la sua indigenza e non perdere la sua dignità. La “toppa” differenzia la povertà ritratta nel film neorealista da quella di oggi, perchè nella società contemporanea non c’è più bisogno di arrivare al buco da consunzione per essere poveri.
Il popolo dei cassonetti, infatti, è rappresentato dal rom, dal pensionato, dal disoccupato, da chi ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese con il proprio stipendio, dal senza tetto o dall’immigrato clandestino.
L’espressione “….è caduto in disgrazia” per indicare qualcuno che aveva perso lo status sociale a cui apparteneva, attualmente non è più usata, forse perché non è necessario arrivare a perdere la grazia e quindi essere “senza grazia” per impoverire. L’uso del carrello per il cassonetto, offre l’immagine di persone che si muovono alla ricerca sistematica, quasi organizzata, di qualcosa di utile, come andare a fare la spesa in un supermercato. L’uso del passeggino, invece, sollecita l’immagine, più inquietante, della ricerca di cibo per un bambino che si spera non sia il destinatario di quanto verrà trovato.
L’infoltirsi di questo popolo sollecita delle riflessioni su quanto l’impoverimento possa riguardare principalmente lo stato d’animo dell’essere umano, in questi tempi in cui il nutrimento culturale è sempre meno ricco di stimoli che possano attivare un rinnovamento costante della creatività e produrre idee. Tant’è che non tutti gli esseri umani riescono a tenere vivo dentro se stessi il fuoco salvifico della progettualità, lasciandosi andare alla passività e al pessimismo.
Questi uomini e queste donne dei carrelli e dei passeggini forse hanno la sensazione che la Terra, invece di compiere il proprio moto di rotazione intorno all’asse terrestre, si sia aggrappata ad esso per non cadere nell’oblio dell’universo, così come loro stessi si aggrappano alla speranza di trovare tra i rifiuti qualcosa di inutile per gli altri, ma di utile per sé, scavando nei luoghi dell’oblio dell’umanità.
Paradossalmente, più scavano e più cercano inconsapevolmente di salvare se stessi dall’oblio, attraverso il riciclaggio di ciò che trovano.
Nei film di carattere poliziesco per lo più americani, spesso gli investigatori cercano tra i rifiuti dell’abitazione, dove si è consumato un delitto, elementi che possano aiutare le indagini e spesso giungono a considerazioni relative allo stile di vita della vittima. A questo punto ci si potrebbe chiedere a quali considerazioni giunga l’esercito di uomini e di donne che fruga nei cassonetti nei confronti degli abitanti di una zona della città. Il cassonetto, per esempio, potrebbe essere utilizzato per liberarsi fisicamente di ricordi (fotografie, lettere, oggetti, etc.), di fardelli colmi del frutto di un lavoro scaduto, di libri mai letti o mai scritti, e allora ci si chiede: quante porzioni di vita si troveranno tra i rifiuti, appartenute a chi ha creduto di potersene liberare con un “semplice gesto sversante”?
Il popolo dei carrelli ci conduce a cercare lì, dove nessuno cercherebbe mai, e cioè in fondo alla nostra coscienza, per comprendere quanto a volte ci si separi da dolorosi contenuti dell’esistenza, senza una adeguata elaborazione, al punto di vederli tornare rianimati ed infliggere ancora sofferenza. In fondo, questo piccolo popolo scava nelle nostre coscienze insegnandoci a capire che forse dovremmo essere più attenti a quel segmento di vita da cui ci stiamo separando, senza un intimo convincimento.
Separarsi dal vecchio è necessario per poter fare spazio al nuovo, ma il trasloco, emotivo ed affettivo, deve avvenire alla luce della consapevolezza, altrimenti tutto riaffiorerà sotto nuova forma, ma immutato, grazie al piccolo popolo.